Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 15 — |
Alla calma, alla pace, alla quiete |
Bisognava compiere l’opera e indurre il Re a visitare la Sicilia. Impresa non facile, dopo quanto era avvenuto, ma Filangieri conosceva i Siciliani, ed era sicuro della sua polizia. Far venire il Re in Sicilia, farvelo rimanere qualche tempo tra Palermo, Messina e Catania, era suggellare la pace tra l’Isola e la dinastia. Meno che odiare i Borboni, i Siciliani odiavano i Napoletani, non rassegnandosi alla perduta indipendenza. Certo, non era cosa agevole persuadere Ferdinando II a compiere quel viaggio, poiché nell’animo di lui eran rimasti vivi tutt’i ricordi del 1848; e coi ricordi, i rancori; e coi rancori, forse le paure. La Sicilia era stata riconquistata con le armi, dopo avere eletto un altro Re, figlio dell’odiato Carlo Alberto. Ferdinando II non possedeva la virtù di obliare o celare i proprii rancori. Il luogotenente tornò ad insistere, sapendo che il Re aveva risoluto, nell’ottobre del 1852, di far eseguire esercitazioni militari nelle Calabrie, ma le insistenze sue riuscirono solo in parte, perchè il Re si lasciò indurre a visitare fugacemente Messina e Catania, non Palermo. Egli intendeva dare una lezione ai palermitani, e fu errore politico, perchè Palermo, che gli avrebbe fatte clamorose accoglienze, risenti il dispetto dell’esclusione. Sarà bene ricordare quel viaggio, l’ultimo che fece Ferdinando II in Calabria e in Sicilia, e ricordarlo nei suoi particolari più caratteristici.