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gina, il visconte di Magnieux, venne a Napoli a bella posta per recitarvi. Le rappresentazioni avevano quasi sempre uno scopo di beneficenza e i poveri ne ritraevano sollievo. Furono recitate nel 1857 le due piccole commedie le Piano de Berthe e Michel et Christine, e ne furono protagoniste la contessa di Castellana e la vecchia madama Craven, che voleva riprodurre il figurino del tempo (1828) en robe courte, ma gli scrupoli non lo permisero. Per il terremoto di Basilicata si rappresentarono due commedie francesi, e la duchessa Ravaschieri declamò il Salmo di Niccola Sole. La commozione fu grandissima quando ella disse:

Signore! I tuoi clementi occhi declina
Su le ripe lucane, ove la vita
Fra il terror si dibatte e la mina!
Scapigliata una gente sbigottita
Ignuda fugge il tuo divìn furore,
E per gl’infermi campi erra smarrita!1

Quelle due rappresentazioni fruttarono la bella somma di oltre quattromila ducati; i posti nella sala non erano che dugento e alcuni furono pagati dieci napoleoni l’uno. Nel 1859 la casa Craven divenne il luogo dove più liberamente e più vibratamente si parlasse delle speranze d’Italia, sull’esempio della padrona di casa, la quale, francese e bonapartista, credeva che Napoleone III fosse il veltro di Dante. Molto frequentati anche i ricevimenti in casa De la Feld, La contessa De la Feld era un vero valore nell’arte del canto, apparteneva alla famiglia Bavere di Ariano e fu educata a Napoli, dove sposò nel 1844 il conte Giuseppe De la Feld, ricco signore inglese, venuto a Napoli per diporto, a bordo del suo Yacht “Esmeralda„. I ricevimenti di casa De la Feld ebbero importanza politica nel 1860, ma prima di quel tempo erano già celebri, perchè vi si faceva della musica eccellente e ai concerti prendevano parte, oltre ai migliori dilettanti del tempo, i più rinomati artisti di

  1. Bonaventura Zumbini ha raccolto in un bel volume, edito dai Lemonnier, i cauti di Niccola Sole, preceduti da una prefazione ch’è un atto di giustizia alla memoria del simpatico poeta, il quale, non ostante l’ultima sua incoerenza, quella di avere composta la celebre cantata per l’assunzione al trono di Francesco II, lascia, dice lo Zumbini, non solo brani, ma interi e ampi e numerosi documenti di vera poesia, degni di essere ricordati per sempre.