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zione della gioventù, e fanno di nuovo sventolare la bandiera di Cicerone, di Quintiliano, di Giovenale su cui stava scritto: «mens sana in corpore sano», così al corpo logorato e macerato dal Medio Evo vogliono ridonare salute e bellezza con l’igiene e con la ginnastica. Al trivium e quadrivium dei loro maestri aggiunge il Vegio la storia, il Piccolomini la storia e la geografia e la filosofia. E per la donna? nessuno parla della sua istruzione e «questo silenzio più o meno deliberato», come afferma il Cerini, «sulla cultura femminile riusci dannoso alla scienza educativa, perchè l’esempio degli scrittori del secolo XV, fu disgraziatamente imitato nell’età seguente. Cosicché mentre in altri paesi, ed in modo particolare in Francia, si formò assai per tempo una copiosa letteratura pedagogica femminile, da noi siffatto importantissimo argomento non inspirò lavori veramente geniali che nel sec. XIX.»1

Per lei ancora vogliono quella vita austera consigliata da S. Girolamo, perciò Maffeo Vegio, il maggior pedagogista del secolo XV, ripete i precetti del santo.

Se non invitano la donna ai libri, la richiamano però al dolce ufficio di madre e di educatrice della prole, come Leon Battista Alberti nel trattato Della Famiglia, e insorgono contro il costume ormai

  1. gerini,Gli Scrittori Pedagogici Italiani del secolo decimoquinto. Torino, Paravia, 1896.