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intenzioni già, ma ne’ mezzi. E di essi farò mio studio nelle biennali memorie ch’evocai dal passato per confortare alcun poco la mia presente solitudine.

Scrivo da un posto, ove un esule illustre, chiedendo pace alla travagliata anima sua, disfogava l’atra bile contro i proprii nemici e della terra natia, collo inchiodare i lor nomi sulla gogna della immortalità. Quivi pure un altro grande poeta dettava canti sublimi pria che, soldato della liberta, muovesse ad aiutare coll’oro, colla sua fama e col braccio allo affrancamento di un popolo schiavo.

Non erede dello sovrumano genio di Dante, nè dello splendido ingegno di Byron, mostrerommi loro emulo nello ardente amore di patria, disceverando questo di ogni passionatezza di parte. Nè pure userò parole sdegnose ragionando di que’che caddero, o sursero; avvegnachè io ben mi conosca siccom’esse, ai pochi soddisfacendo, irritano i molti e non persuadono alcuno di quel vero che vuolsi a tutti chiarire.

Cercherò pormi tant’alto da osservar grandemente lo scopo nobile de’ generosi, e vedere come piccole macchie gli errori che alcun seppe commettere, e non perchè si addoppiassero i lutti e le vergogne d’Italia.

Terrommi beato, se qualche sincero amator della patria dirammi aver io raggiunto lo scopo.

    Dalla Spezia, Novembre 1850.

C. Augusto Vecchj.