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te tali, della natura. — Diocleziano non riescì meglio di altri, meglio dei formidabili tribuni di Francia, meglio degli editti che si arrogano di arrestare immutevolmente la ragione dell’interesse al 5 per 100, o intimare che per l’egual peso l’oro debba valere esattamente 15 volte l’argento; o peggio, che l’uno e l’altro metallo valgano più o meno, a discrezione e capriccio di chi può farne decreto a parole; o che uno straccio di carta stampato valga senz’altre osservanze come il metallo prezioso.

Il mercato ha la propria gravità, come il mondo materiale, esso obbedisce a leggi, che se non sono esattamente quelle di Galileo, vi si assomigliano però nella loro costanza ed inflessibilità. Occorrerebbe a mutarle, sì nell’uno che nell’altro caso, alcunchè di quello che suolsi stimare il miracolo; e ormai, quanto a miracoli, la scienza non mostra essere gran fatto inchinevole a prestarvi credenza; nè sono per certo gli amministratori quelli che possano seriamente pretendere d’averne mai operato.

Pertanto a cosiffatti tentativi falliti compete un grande valore; essi hanno il merito di un argomento negativo, che talvolta può dirsi un vero argomento ab absurdo. — Oggigiorno i principj sono abbastanza bene accertati per non abbisognare in assoluto di una prova di più; e nondimeno vi è pur sempre una compiacenza ed un vantaggio nel vederli suffragati dai fatti anco una volta, e in condizioni, per qualche rispetto, le più larghe ed acconcie che possano mai desiderarsi. Di ciò la scienza ha debito all’Imperatore Diocleziano, ed essa può essergli grata della lezione, se anche l’augusto autore ce l’abbia porta ignari di noi e delle nostre dottrine, e per certo a suo malincuore.

E con questa conclusione sia fine al presente discorso già forse troppo a lungo prodotto.