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sia un gran merito. Imperocchè fra tutti i prodotti dell’industria umana niuno ve n’ha forse di più inutile della produzione di quei libri che ogni giorno generano e la vanità e la sete del guadagno. A che giovano quelle verità cento volte ripetute e che tutti sanno; quei tanti sentimenti che non trovano luogo che nell’interno delle nostre case, o nella maldicenza della società, e che non offrono verun interesse per lo spirito, e non consolano il cuore? Perchè, quali i personaggi nell’Hamlet di Shakspeare, rivestirsi agli occhi del mondo di passioni esagerate, e perchè quelle meschine contorsioni d’uno spirito sprovvisto di una fisionomia originale e sublime? Perchè vergognosamente togliere ai leggitori le ore preziose del loro tempo, quando non si può ricompensarli con un utile istruzione o con puri godimenti? Un’arte esiste che trae sorgente dallo spirito e dalla parola umana, ma non la trovi già in quelle poesie, frutto di una incerta e passeggera emozione del cuore, nè in quei romanzi estratti e composti nelle carte di un legale che cerca di porre in pratica la sua esperienza giudiziaria. Quell’arte è di una natura celeste e sacra: Dio stesso l’ha concessa all’uomo come un pegno del suo perfezionamento: Egli stesso per un atto misterioso della sua volontà la accorda ai suoi eletti: e così da lui consacrati, a loro concede l’impero dell’intelligenza umana: a loro infonde pensieri profondi e meditazioni salutari: pone in cuor loro quella forza perseverante che conduce alla meta, e sparge sulle lor labbra le attrattive della grazia o la possanza della folgore. Essi soli sono il vero sale della terra, gli eletti d’Israele. Ligi alla loro vocazione, li vediamo seguirla malgrado le seduzioni del mondo e nella piena delle burrascose passioni; adempiono al loro sacro ministero non come schiavi inutili, o indolenti mercenari, ma si come i confidenti della natura e della verità, e come capi che governano le tendenze e i pensieri degli uomini: insensibili alle adulazioni di una gloria vana, impavidi dinanzi alla forza, sempre pronti al sacrifizio di sé medesimi, non curando gli applausi del volgo, e col solo silenzio disprezzando i giudizi degli ignoranti. Elisabetta Kulmann apparteneva senza dubbio al numero