importante delle sue leggi enuncia che i pianeti si muovono ciascuno in un piano, secondo una ellissi, della quale il sole occupa un fuoco, una seconda legge permette di calcolare l’istante nel quale ciascun pianeta raggiunge un punto qualsiasi di quest’orbita. Per quanto sbalorditiva sia tanta opera, dovuta ad un solo uomo, e che rappresenta per l’astronomia l’equivalente di un lavoro di millecinquecento anni, essa lasciava ancora due questioni pendenti. In primo luogo, i movimenti di tutti i pianeti mostravano, in confronto alle leggi, delle piccole deviazioni, le “perturbazioni,” che già lo stesso Keplero conosceva in parte, ma che non si poterono notare abbastanza finché l’introduzione dei cannocchiali non aumentò in modo straordinario la precisione delle misure astronomiche. In secondo luogo, Keplero enunciava le sue leggi non altrimenti che come fatti; era deplorevole non poterli dedurre teoricamente da una legge piú alta e piú generale.
Newton colmò queste due lacune con una perfezione assoluta. Egli ricondusse tutti i movimenti planetari a due grandi cause, quelle che abbiamo indicate nel capitolo X: l’inerzia e la gravità. Se i pianeti non obbedissero che all’inerzia, si allontanerebbero sempre dal sole seguendo delle traiettorie rettilinee; se essi non obbedissero che alla gravità, seguendo la gravitazione del sole, cadrebbero sul sole; l’azione simultanea, il giuoco ritmico di queste due cause fondamentali, dà esattamente le traiettorie di Keplero, come Newton ha dimostrato con un calcolo di cui egli stesso ha trovato il metodo. Quanto