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198 illustri italiani



     Il regno ampio de’ venti
Io corsi a’ miei verdi anni, e il mar sicano
Solcai non una volta, e a quando a quando
Con piè legger dalla mia fida barca
Mi lanciava in quell’isola ove Ulisse
Trovò i Ciclopi: io donne oneste e belle,
Cose ammirande colà vidi;


potè nelle sue poesie celebrare i cimiteri di Palermo, la certosa di Grenoble, la cascata d’Arpenas, il lago di Ginevra, i ghiacciaj, i giardini inglesi, con un sentimento della natura, non comune ai nostri verseggiatori. In Roma, dove,


non che muro ed arco,
Sasso non trovi che non goda un nome,


partecipò alla società brillante e culta; e di quella fittizia Arcadia cantava:


Le felici capanne, il bosco, il prato
Veggo, e gli antri vocali e il sacro rio,
E sedenti qua e là sull’erbe e i fiori,
Tra’ lor cani e monton, ninfe e pastori;


e più che il Muratori e il Cesarotti contribuì a fondare l’Accademia Italiana. Compose allora una tragedia, l’Ulisse, che, sebbene lodatissima dal Metastasio e dal Bertòla1, è affatto dimenticata. Anche della sua tragedia dell’Arminio, poco gradita allora, oggi non serbasi quasi ricordo, eppure ha pregi ben superiori alle spettacolose di Giovanni suo fratello2, tutte effetto e imitazione francese. Oltre il

  1. Il Bertòla cantava:

    O Pindemonte, Italia
    Te pel cadente secolo
    Suo primo vate noma,
    Te per l’età vicina:
    E quei che a Metastasio
    Lauri ombreggiali la chioma,
    Al capo tuo destina.

  2. Giovanni Pindemonte concorse colle sue tragedie al premio, con che la Corte di Parma eccitava gli Italiani a lavori che sostenessero il confronto de’ tragici francesi. Le sue tragedie (stampate a Milano nel 1804, poi nel 1827, con un buon.