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siti o programmi proposti, a qualche utile produzione, a qualche nuova ed importante scoperta nazionale.

Da questi cenni siete chiari come l’Istituto Nazionale dovesse esser la chiave della volta dell’insegnamento alto ed universitario; e tutt’insieme corpo dotto, corpo insegnante, corpo amministrante gli stabilimenti scientifici. Non vi sfugga l’importanza che così competentemente gli era attribuita nel nominare i professori delle scuole alte; l’uffizio poi di informare annualmente sulla cultura del paese, importava e ispezione e vigilanza continua, e il diritto di dare i suggerimenti opportuni. Non era dunque soltanto letterario, benchè comprendesse i maggiori letterati d’allora1, e la storia non potrà tacere l’azione che esercitò su quel tempo, che pure, per le violente commozioni e i rapidi cangiamenti e lo stato permanente di guerra, riusciva tutt’altro che fausto agli studj nè alle arti belle o alle industriali.

V’era accentrata anche l’Accademia delle Belle Arti, considerate come un elemento della generale cultura, un istromento a educar quel senso estetico, ch’è pur tanta parte nella civiltà d’una nazione. Ragionevolmente dunque la cura ne veniva affidata specialmente all’Istituto; del quale in fatto erano membri il pittore Giuseppe Bossi, l’artista allora di moda; l’incisore Giuseppe Lunghi, l’architetto Cagnola, lo scultore Canova; più tardi il pittore Comedo; e nella raccolta delle Memorie si leggono una dissertazione sui principj dai quali dipende il giudizio delle opere d’architettura; osservazioni sull’architettura delle scale; sull’architettura gotica; del Bossi la descrizione del monumento di Gastone di Foix; del Lunghi la storia della calcografia; di Giulio Ferrari quella dell’architettura milanese.

Buonaparte, che si compiaceva d’esser membro dell’Istituto di Francia, era anche membro dell’Istituto nostro, e quando, non sapendo tenersi all’altezza di primo cittadino d’una Repubblica, volle farsi imperatore, non lo dimenticò, e incaricava il vicerè di farne una riforma consona ai nuovi tempi, e fissandolo a Milano, capitale del regno. Fra i gravi pensieri che dovea cagionargli la più sciagurata delle sue imprese, la conquista della Spagna, non gli parve troppo piccola quella dell’Istituto, e da Bajona scriveva al Beauharnais il 18 marzo 1808:

«Mon fils, je vous renvoie votre décret sur l’Institut. Vous ne trouverez pas à Milan le nombre de savants que vous demandez; il résulterait de tout cela plus de mal que de bien, et on serait obligè de nommer des hommes sans talens; ou on nommerait ce qu’il y a de mieux dans le

  1. Sta negli archivj di Parigi il progetto del decreto sopra l’Istituto, sottomesso al primo console; e in margine egli scrisse questi nomi, e in quest’ordine: Fantoni, Lunghi, Brugnatelli, Gagnoli, Monti, Oriani, Canterzani, Volta, Savioli, Mondini, Cassiani, Scarpa, Moscati, Saladini, Isimbardi, Dandolo.
    S’intende che la consorteria preponderava anche allora nelle elezioni, e, per esempio, non vi appartennero Romagnosi, Gioja, Ugo Foscolo, Giordani, Rasori, mentre vi ha persone che io confesso ignorar chi fossero; e corse poco più di mezzo secolo.