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112 | illustri italiani |
X.
Ma egli era echeggiato da una scuola di numerosi adepti, di potenti corifei, di fervidi ammiratori, la quale distribuiva la gloria, le decorazioni, le cattedre, i posti nell’Istituto, rimbalzandosi le lodi ne’ circoli e sui giornali. L’Impero voleva anche i fiori squisiti dell’intelligenza e dell’arte, che sono l’ornamento de’ grandi secoli, ma che non fioriscono se non dove la coscienza interrogata può dire la verità.
I ministri d’Italia doveano circondarsi di letterati, e principalmente il Veneri e il Paradisi ne’ loro circoli raccoglievano quanti dotti aveva il regno; l’esservi ammesso e preconizzato era la condizione d’ogni successo; di là usciva la riprovazione o l’esaltamento d’ogni opera dell’arte, di là le elezioni all’Istituto1. Il Monti naturalmente vi primeggiava, non tanto in ragione del talento, come della flessibilità, per la quale appuntandolo consolavansi i mediocri.
Per la ragione contraria v’era meno accetto Ugo Foscolo, che, comunque operasse da individuo ed in privato, sentiva che un autore verrà giudicato da’ suoi scritti, e non voleva insudiciar la Musa; dotato di selvaggia grandezza e pauroso di sembrar comune, fra gente devota alla più comoda delle eresie, la noncuranza di ogni principio, affettava di averne al modo stoico, e dalle passioni e dalla moda spinto a sollecitare il favor de’ ministri, pure ricusava di prostituirvi la dignità delle lettere; e non lo chiedeva, benchè invidiasse quelli che l’otteneano; col mal dissimulato disprezzo per le mediocrità primeggiane, e con quell’ira che spesso appone a una classe o ad un paese intero i torti di qualcuno, professava «abborrimento contro i ciarlatani e impostori, vendilettere, vendifama, vendipatria di Lombardia», ove deplorava che «i letterati sono vilmente timidi; segnatamente a Milano, sono, chi più chi meno, tutti vilmente raggiratori».
Dapprima il Monti e il Foscolo vedeansi in amicizia, e quegli scriveva a questo: — Il tuo massimo studio deve essere il conservarti la grazia del principe. Aggiungi dunque alla tua Prolusione (te ne scongiuro) due parole, un cenno che apertamente tocchi le lodi dell’imperatore e del principe. Questa è una costumanza, dalla quale
- ↑ Vedi l’appendice D.