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e attesta la corruzione che produsse Lutero. Il Tasso fa sentire che la riforma cattolica era cominciata: permettesi appena qualche lenocinio di Corte depravata; sempre in tono di convinzione, sebbene profitti della macchina cavalleresca coi duelli e colle magie, indica il ritorno dello spirito cristiano nella devota proposizione, nella religiosità di quei cavalieri, nelle processioni, nella compunzione, nella costante dignità di eroi, benchè affascinati dalla verga romanzesca, e ribattezzati nel lavacro di Trento.

Se nonchè da fantasia e memoria lascia usurpare troppo spesso il luogo della fede reale; i prodigi oscillano fra il miracolo e la spiegazion naturale; Musulmani e Cristiani adoprano il linguaggio stesso, amano allo stesso modo. Tanta mescolanza di falso e di fittizio, tanta morbosa dolcezza rivelano il languore che invadeva la letteratura come la nazione, riducendola a falsa retorica, a poesia dotta, come quando è perduto il senso della poesia creatrice.

Ma se la fantasia più vivace, le invenzioni più abbaglianti, una più vasta concezione, una maggior libertà ci fanno ammirare altri, nel Tasso amiamo quella mesta armonia insinuante, quelle voci di cuore, quel gusto della simmetria, quel far convergere tutte le forze cristiane a un fine grande, al quale mettono capo le molteplici avventure. E que’ sentimenti sono ancora d’oggi, più che non le cupe architetture di Dante o il caleidoscopio dell’Ariosto: la gran quistione del ricuperar la terra ove nacque la civiltà e fu compita la redenzione, non è per anco risoluta; laonde le simpatie son tuttavia assicurate a Torquato, nel quale, se volete, amiam pure i difetti e le piccolezze, perchè il gusto di scoprirle ci toglie la mortificazione d’un confronto trascendente.

Torquato scese a difendersi, o piuttosto a confessarsi in colpa, giacchè insiste continuo sul non aver avuto campo di limare il poema suo: — Non l’ho riveduto; giovane, presi il condimento per nutrimento; a voler confutare le critiche dovrei confutar me stesso, che già più volte dissi altrettanto sulle affettazioni, sui giochetti, sui pensieri lambiccati»1. E diede causa vinta agli avversarj

  1. Dell’Apologia scriveva il Lombardelli: — Avrei voluto ch’egli avesse speso quel tempo in finire il poema, perchè io son di parere che importi più una parola o un verso che si migliori nella Gerusalemme, che un’opera intera la qual si scriva». Ma soggiunge: — Non so trovar parte in quest’Apologia ch’io non ammiri: perchè mi piace la virtù eroica in dispregiar l’onte; la modestia e la creanza in ribatter