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torquato tasso 421


Peggiori strazj l’aspettavano in ciò che ad un autore è più caro, la reputazione. Perocchè, mentre egli era tenuto rinchiuso, alcuno pubblicò il poema di lui (1580), non solo mancante di quegli ultimi tocchi che l’autore suol dare all’atto della stampa, ma scompleto e scorrettissimo. In miglior guisa fu poi riprodotto; e in sei mesi del 1581 se ne fecero quattro edizioni; diciotto in cinque anni. Le bellezze reali del poema e le sventure del poeta fecero che alcuni di quelli che non sanno lodare uno senza deprimere un altro, lo dichiarassero superiore dell’Orlando Furioso; altri, o per ammirazione all’Ariosto, o per l’invidia che volentieri attacca le opere nuove, o per quei bassi istinti che sono proprj de’ giornalisti d’adesso come dei grammatici d’allora, fecero del poema quello strazio ch’è sì facile a chi si proponga non di valutar il merito vero, ma di scoprire ed esagerare i difetti.

Non parlando di coloro che mai non perdonano ai buoni1, la Crusca, inclinata come tutte le Accademie a valersi dei morti che non recano ombra per mortificare i vivi invidiati, gli antepose il Pulci e il Bojardo, proclamando la libertà dell’orditura, censurando a minuto i caratteri, gl’incidenti, lo stile2, e Leonardo Salviati, che in due volumi aveva lambiccato lo stil del Boccaccio, sottilizzò su quello del Tasso, cominciando dall’armi pietose. Altre censure uscirono, più grammaticali che estetiche, smodate al par delle lodi, e sempre intorno alla forma; ma chi tolga la scortesia de’ modi e la sofisticheria cui reca sempre il meschino proposito di volere scoprir mende, molti appunti rivelano, se non elevatezza di vedere, un gusto più fino che non siamo avvezzi a supporlo nel Seicento. Il gran Galileo vi fece delle considerazioni, a cui egli, pubblicandole, avrebbe tolto l’asprezza del primo getto, se non avesse fatto ancor meglio, cioè seppellirle: e sebbene non sorga al concetto generale dell’essenza poetica dell’epopea, e a confrontare l’indole del soggetto col modo onde fu trattato, pure si allarga ne’ riflessi: di scarsa vena trae indizio dalla poca connessione delle idee, dalla meschinità delle

  1.                     S’opre d’arte e d’ingegno, amore e zelo
                   D’onore han premio, ovver perdono in terra,
                   Deh non sia, prego, il mio pregar deluso.

  2. A sgravio di essa dicasi come s’affrettò di tributargli onori quando venne a Firenze; e nell’edizione del 1691 già lo poneva fra le autorità.