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corgersi d’un senso profondo, al difetto del quale cercò supplire con un’allegoria; oscura superfluità, dove non propone al pensiero che la psicologia, sceverandola dalla storia e dalla metafisica, le idee separando dal loro principio e dall’applicazione.

Com’è pio Enea, così pio dev’essere Goffredo; nè soltanto virtuoso come gli eroi di Bernardo Tasso, ma anche religioso. Perchè gli amori formano il viluppo dell’Eneide, così dev’essere qui; e dopo che nei primi due canti ci spiegò innanzi la maestosa marcia di tutta Europa e le opposizioni preparate dall’Asia e dal popol misto d’Affrica, eccolo impicciolirsi nel rinterzato romanzo di Tancredi amato da Erminia e amante di Clorinda, e in quel di Rinaldo vagheggiante Armida. Un concilio degli Dei d’Averno si risolve in mandare una fanciulla a sedurre qualche cavaliero. L’incantagione della foresta che somministrava il legname per le macchine, sospende l’impresa, finchè attraverso all’Atlantico due messaggieri, non contraddistinti che dal nome, vanno a svellere dalla voluttà Rinaldo, affinchè giunga di sì lontano a recidere una pianta. Allora tutto si ravvia prosperamente; Gerusalemme è presa; è sciolto il voto alla tomba di Cristo: ma la riconciliazione d’Armida con Rinaldo è solo lasciata indovinare, è incerta la sorte d’Erminia.

Questi amori, che riempiono due terzi del poema, atteggiano a

    concedo parimente quel che l’esperienza ci dimostra, cioè che maggior diletto rechi a’ nostri uomini il Furioso, che l’Italia Liberata, o pur l’Iliade o l’Odissea. Ma nego però quel ch’è principale, e che importa tutto nel nostro proposito; cioè che la moltitudine delle azioni sia più alta a dilettare che l’unità; perchè il contrario si prova con l’autorità d’Aristotele, e con la ragione ch’egli adduce ne’ problemi; e benchè più diletta il Furioso, il quale molte favole contiene, che altro poema toscano o pure i poemi d’Omero, non avviene per rispetto della unità o della moltitudine, ma per due ragioni le quali nulla rilevano nel nostro proposito. L’una, perchè nel Furioso si leggono amori, cavallerie, venture ed incanti, ed insomma invenzioni più vaghe e più accomodate alle nostre orecchie; l’altra perchè nella convenevolezza delle usanze e nel decoro attribuito alle persone, l’Ariosto è più eccellente di molti altri. Queste cagioni sono accidentali alla moltitudine ed all’unità della favola e non in guisa propria di quella, che a questa non siano convenevoli. Laonde non si dee concludere che più diletti la moltitudine che l’unità. Ma per un’altra cagione per avventura si potrebbe provare; perciocchè, essendo la nostra umanità composta di due nature assai fra loro diverse, è necessario che d’un’istessa cosa sempre non si compiaccia, ma con la diversità procuri or all’uno, or all’altra delle sue parti soddisfare; essendo dunque la varietà dilettevolissima alla nostra natura, potranno dire ch’assai maggior diletto si trovi nella moltitudine, che nell’unità della favola».