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torquato tasso 403

colpe era ridotto! E davvero la gemebonda melanconia che già vi fa sentire, dovea rimoverlo dalle ebbrezze di moda e dai gavazzieri poemi cavallereschi1; ma nobilmente invidiando alla gloria dell’Omero ferrarese, lo osservò soltanto dal suo debole; e poichè troppo era lontano da tanta ricchezza e padronanza di stile e di poesia, e da quella folleggiante amabilità, sperò poterlo superare mediante la regolarità che a quello mancava. Anche di Dante non parla Torquato che tardi2, e maggiormente ammirando il portoghese Camoens, autore dei Lusiadi, prefisse di trattare com’esso un argomento moderno, pur modellato sul tipo virgiliano. Che se Camoens avea cantato le glorie della sua nazione, egli, dopo molto ondeggiare, prescelse la crociata3.

Il soggetto conveniva ai tempi. Perocchè, dopo che la cristianità era stata sbranata dalla Riforma, la Chiesa cattolica avea purgato la sua disciplina e chiarito le sue credenze nel Concilio di Trento. Allora i costumi, se non migliori, divennero più riservati e contegnosi; e del diffuso spirito di pietà e di devozione la letteratura risentì, come avviene di tutti i cambiamenti. I missionarj introdussero canzoni popolari, che si cantavano in chiesa e nelle processioni. San Filippo Neri, ai giovani che raccoglieva a solazzo per distorli dalle feste pericolose, facea rappresentare oratorj, cioè commediole e drammi d’argomento sacro. Dal pulpito sbandironsi le buffonerie. Mentre da prima poneasi poca restrizione alla stampa, fu introdotta la censura preventiva, affidata ai vescovi o agli inquisitori, oltre l’Indice nel quale una congregazione a Roma registrava, e tuttora registra

  1.                Musa, che in rozzo stil meco sovente
                        Umil cantasti le mie fiamme accese,
                        Sicchè, stando le selve al suono intente,
                        Eco a ridir l’amato nome apprese;
                        Or che ad opra maggior muovo la mente
                        Ed audace m’accingo ad alte imprese,
                        Ver me cotanto il tuo favor s’accresca
                        Ch’all’addoppiato peso egual riesca.

    È la seconda stanza del poema.

  2. Dal Capurro a Pisa nel 1831 furono stampate le postille sue alla Divina Commedia, fatte con indipendenza, ma pedantesche.
  3. Lo cominciò di 19 anni. Alla biblioteca vaticana è il manoscritto dei tre primi canti, colla dedica al duca d’Urbino.