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Come lungamente ragionammo di Dante Alighieri, non crediamo dover lasciare senza cenno un suo avversissimo, Cecco Stabili. Nato ad Ascoli dalla ricca famiglia degli Stabili, finita nel secolo XVIII, egli fu astrologo della città di Firenze, conobbe i dotti di Bologna, di Salerno, di Avignone e gli Arabi, e compose un poema filosofico, morale, scientifico, intitolato L’Acerba, volendo indicare un acervo o mucchio di cognizioni umane varie; poema nè bello di poesia, nè ricco di dottrina, ove in cinque rubriche o libri, di cui l’ultimo è breve e forse non compiuto, ragionato della scienza, finisce col parlar della rivelazione. La scienza sua è secondo i tempi, ma ripetutamente batte Averoè e la sua scuola: nella rivelazione accetta affatto quel che la Chiesa, se non che qui pure mescola ciò che predomina nelle altre parti, la magia e l’astrologia; chiama «cieca gente e storpj intelletti» quelli che non conoscono il linguaggio de’ corpi celesti, nè sanno indovinare il futuro, o che sprezzavano l’astrologia, parlando «secondo il tempo antico»; credeva a un genio familiare, detto Fiorone, a’ cui responsi sostenea doversi aver fede, sebbene talvolta inganni cogli oracoli suoi, come quando a re Manfredi rispose, Vincerai non morrai.

Queste e ben altre follie espone a lungo non solo, ma pretende persuaderle altrui; e lo fece a Bologna commentando nel 1322 la Sfera del Sacrobosco, poi a Firenze mediante l’Acerba. Nel proemio all’esposizione del Sacrobosco dice che «molti si promettono giudicare della vita e della morte, e delle cose future mediante arti magiche, le quali sono da santa Madre Chiesa riprovate vituperevolmente (vituperabiliter improbata): e alle cinque scienze magiche,

CantùIllustri italiani, vol. I. 23