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262 | illustri italiani |
popolo romano lasciava i sei giardini di là del Tevere, e tremila sesterzj per ciascun cittadino; giusta l’usanza, varj legati e benevoli ricordi agli amici, fra i quali contava i proprj uccisori. E questo era il tiranno! e che di più si voleva per eccitare la furia del popolo? Quando poi Marcantonio espose la lacera toga e l’effigie in cera del dittatore, con tutte le ferite ricevute, d’ogni parte e in varie favelle si urlò vendetta, i veterani gettarono sul rogo le ricompense ottenutene in campo, le dame i giojelli; il vulgo ne tolse i tizzoni da avventare alle case degli assassini, e fece sangue; e avendo il senato ascritto Giulio fra gli Dei, se ne ammirò il nume in una stella apparsa in quel tempo (Julium sidus).
Questa giornata di marzo dovette essere differentemente giudicata finchè vissero coloro che l’aveano veduta: ma dacchè Augusto ebbe avvezzato Roma alla monarchia, e all’imperatore si affidarono tutti i limiti e tutte le forme d’una costituzione aristocratica, l’uccisione dell’istitutore di quello stato di cose sembra avrebbe dovuto venir condannata come inutile, se non come ribalda. D’altra parte gl’imperatori divennero tiranni, e in conseguenza parea merito l’aver ucciso chi avea lor spianata la via. Quand’era lesa maestà ogni pensiero contro la vita, anzi sulla vita dell’imperatore, le lodi volgeansi sovra Bruto e i suoi; la retorica, vezzo e guasto de’ Romani, vi si sfogava, e gl’imperatori la lasciavano fare; ogni verseggiatore, ogni maestro di scuola trattava quel soggetto; la filosofia stoica, tanto efficace nell’età imperiale, guardava come lecito anzi virtuoso il suicidio, e onorevole il regicidio. L’applauso dato agli uccisori di mostri, quali Caligola e Domiziano, ridondava sopra quelli del primo Cesare. Così venne di moda il lodare quell’eroismo; e il medioevo lo adottò; e più i moderni, e, ciò che è bizzarro ma non singolare, gli storici e i declamatori che si pretendono liberali, applaudirono più sfogatamente a quel che uccise il maggior liberale di Roma antica.
Il teatro ebbe gran parte a tale pregiudizio, poichè al dramma s’acconcia benissimo l’adulterare la verità storica, mostrando quel delitto come consigliato da giustizia e da necessità; e Voltaire e Alfieri divinizzavano il regicida non meno di Shakspeare, il quale fa da Cassio predire che, col volgere de’ secoli, quando l’opera sua e di Bruto sarà rappresentata sulla scena «da popoli non nati ancora, e in favelle ancora ignote», essi saranno ogni volta acclamati come uomini che diedero la libertà al proprio paese.