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I. Il medioevo — II. Risorgimento degli studj — III. e delle arti belle — IV. Dante. L’amore — V. Sua attività civile. L’esiglio — VI. Il poema — VII. Grandiosità del suo concetto — VIII. La forma — IX. Come ritrae i tempi — X. Sua religione — XI. La Chiesa è l’Impero — XII. Della Monarchia — XIII. Dell’unità d’Italia — XIV. Il Vulgare Eloquio — XV. Paragone col Petrarca.
I.
Che ogni lume di scienze e di lettere fosse spento nel medioevo è uno de’ tanti pregiudizj d’una storia, che, ancor più leggera che ingiusta, avvezza a guardar solo al lato triviale delle cose grandi e al debole delle potenti, non è capace di valutare un’età, media fra un passato non più possibile e un avvenire non possibile ancora, e che si spiega meno colla ragione che colla fede.
Sfasciatosi l’organamento pagano dinanzi alla predicazione dei nuovi dogmi, parve tutto finisse, e tutto invece si ricomponeva; periva una società, ma per dar vita a un’altra. La soperchiante idea dello Stato, per la quale l’uomo non era valutato se non in quanto cittadino, era stata distrutta dal cristianesimo, che, col discernere le due podestà, avea resa impossibile quella tirannia completa, che impone anche alle coscienze. La Chiesa, sempre meglio sceverando i cattivi elementi della conquista, li santificava e inciviliva; destituita di forze materiali per distruggere i fatti maligni, ve ne poneva accanto dei buoni; propagava le dottrine, imponeva la morale, consacrava l’eguaglianza, redimeva gli schiavi, intimava anche ai sommi la verità, elevava la scienza a virtù: cercava insomma la santificazione della società. Nella sua attuazione esterna poi si costituì in repubblica, dove nessun posto era ereditario, neppure il supremo:
Cantù. — Illustri italiani, vol. I. | 1 |