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emancipazione 17

cipatemi!?» Non è ella oramai educata, secondo la classe sociale a cui appartiene, in scuole comunali, in Asili, in Collegi, in Convitti, sopra tutto ciò che è atto a fornirle, lume alla mente, conforto e guida al cuore, direzione per l’intelligente governo della famiglia? Non ha forse ottenuto il diritto di ereditare, testare, possedere? Non si svincola dalla tutela a 21 anni come l’uomo? Non è ella già abilitata a testimoniare? E non è financo elevata fino alla patria potestà sopra i figli orbi del padre? Questa ultima facoltà la innalza ad una condizione, che in sè concreta le più alte prove di stima e considerazione a cui ella dovesse ambire e potesse esserle accordata dalla legge e dalla società.

«Emancipatemi!» Da che? degli onesti riguardi? dal contegno modesto? dal gentile costume? dal pudore muliebre? dal ritegno verginale e matronale? Vuol esser simile a Semiramide, di cui, dice Dante «che libito fè licito in sua legge?» Vuol rigettare ogni culto, ogni religione? non aver più freno, nè scorta sull’intricata via della vita? Più di quello che la civiltà è andata facendo per essa, parmi non debba, nè possa volere.

Ella non è più come ai tempi dell’idolatria e del paganesimo, schiava e trastullo dell’uomo; accarezzate sol per impulso lascivo, non per attrazione di amore.