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124 de antiquissima

dagli Spartani e dagli Ateniesi, due popoli i più chiari del mondo, uno per dottrina, l’altro per virtù: poi spensero affatto l’imperio e ’l nome toscano; e per trecento anni dopo le leggi non ebber commercio co’ Greci, stimando esser bastevoli da sè a mantenere i buoni ordini, la religione e le leggi con inviolabilmente osservarle: onde provenne quella somma loro scrupolosità delle formole. E così i Romani parlarono lingua di filosofi senza esser filosofi.

Così l’origini che io vo investigando non sono già quelle de’ grammatici, come gli altri ad altro proposito finora han fatto, che considerano le derivazioni delle voci: e l’etimologie, ch’essi in gran parte traggono dalla greca lingua de’ popoli abitatori delle riviere del mar Jonio, mi servono sol d’argomento che l’antica favella etrusca fosse sparsa tra tutti i popoli dell’Italia ed anche nella Magna Grecia, non mi servono per altr’uso. Ma mi sono dato a contemplare le ragioni, come i concetti de’ sapienti uomini si oscurassero e si perdessero di vista, divolgandosi ed impropriandosi dal volgo i loro dotti parlari.

Questo è l’arcano con che ho stimato poter iscoprire qual fosse il sapere degli antichissimi filosoli italiani. E così stando, per cagion d’esempio, sulle medesime vostre opposizioni (p. 116) caussa, in significazion propria de’ filosofi, significa cosa che fa. I Romani significarono con questa voce ciò che negozio anche s’appella. Mi pongo in ricerca come egli potè avvenire che la voce la qual significa ciò che fa, passasse a significar ciò che è fatto. Rifletto altresì, ciò che nasce dalla causa appellarsi da’ Latini effectus, e l’effetto in sua elegante significazione dinota fatto perfettamente. Non trovo come queste cose abbiano tra loro rapporto alcuno; e pure son certo che le voci non sieno poste a caso. Dunque hassi a dire necessariamente che vi fosse stata opinione di que’ primi sapienti, che diedero i nomi alle cose, che causa fosse ciò che contenesse dentro di sè l’effetto, e con esso fosse una cosa istessa, e ’l producesse con tutta perfezione; la quale cosa è assolutamente propria di Dio. Così genus appo i filosofi dicesi ciò che nella specie dividesi, e appo i volgari significa la guisa o maniera. All’incontro species volgarmente dinota apparenza, filosoficamente parte del genere o individuo. Considero sotto voci istesse diversissime cose; qualche ragione d’attacco ha dovuto frapporvisi: non altrove il rinvengo che avessero i sapienti autori della lingua opinato darsi l’Uno vero, che dividesi in più apparenti unità; talchè queste fossero apparenze e simulacri di quello; e l’Uno sia la maniera, i più sieno lavori sulla maniera; quello vero come originale, questi falsi come ritratti.

Ma con tutto ciò non resterà pure maravigliarsi alcuno, come a niun de’ Romani, nati e dotti in quella lingua, sia giammai venuto in pensiero per sì fatta via rintracciarne l’origini. Io