Pagina:Ioannes Baptista a Vico - Opera latina tomus I - Mediolani, 1835.djvu/153


italorum sapientia 123

testatum faciunt: cioè, che poteano servire a rintracciare l’antichissima sapienza d’Italia le origini greche repetite dagli abitatori del mar Jonio, tra’ quali fiorì l'italiana setta: talchè, se vi ha voce latina di sapiente significazione che abbia indi l’origine, ella s'abbia a stimare essere stata quella molto innanzi portata da Toscana in Magna Grecia, e prima che in Magna Grecia, nel Lazio.

Così con la condotta delle origini do lume al dogma pitagorico, che ’l Mondo consti di Numeri, tanto finora oscuro che or non trova seguaci: e dal dogma pitagorico spiego l'opinione degli antichissimi filosofi d’Italia d'intorno ai Punti, i quali poi in Zenone ci furono da Aristotile grandissimamente alterati. I Latini confusero punto e momento, e per l'una e per l’altra voce intesero una stessa cose, e cosa indivisibile; per momento propriamente s'intende cosa che muove. Pitagora disse, le cose constar di numeri: i numeri si risolvono ultimamente nell’unità; ma l’uno e l’altro punto sono indivisibili, e pure fanno il diviso; quello il numero, questo la linea, e tutto ciò nel mondo degli astratti. Dunque nel mondo vero e reale vi ha un che indivisibile che produca tutte le cose che ci danno apparenze divise. Perchè per l’istessa via avea io investigato, i nostri antichissimi filosofi aver nelle lor massime che l’uomo talmente opera nel mondo dell’astrazioni, quale opera Iddio nel mondo delle realitadi. E così il modo più proprio di concepire la generazion delle cose s’apprenda dalla geometria e dall’aritmetica, che non in altro differiscono che nella spezie della quantità che trattano; del rimanente sono una cosa istessa: talchè i matematici, conforme vien loro in talento o più in acconcio, dimostrano una stessa verità or per linee, or per numeri.

Ma più che difficile e contrastata, come voi, altri può stimar questa via inverisimile; perchè i Romani tardi cominciarono a gustare le lettere, e questa saggia lingua che io immagino doveali da prima farli dottissimi.

Providi cotesta obbiezione nel Proemio (pag. 49) ove dissi per cotal ragione appunto che i Romani eas (locutiones) ab alia docta natione accepisse, et imprudentes usos. Perchè tutte quelle che stimansi comunemente fortune de’ Romani, io riduco a questa sapienza, ch’essi seppero far buon uso de’ frutti della dottrina delle altrui repubbliche, e mantenere l'ignoranza, e per mezzo di questa conservar la ferocia tra’ suoi: ne’ quali tempi assolutamente essi si stabilirono l’imperio del mondo con la distruzion di Cartagine. Presero da’ Toscani la religione quanto mai tragica, per dirla con Polibio, immaginar si potesse, e, quel che più fa al nostro proposito, un'arte di schierar battaglia sola al mondo, per la quale un autor sapientissimo di sì fatta arte stima essere stati invincibili, la quale non potea essere se non frutto delle matematiche de’ Toscani: presero le leggi