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118 de antiquissima italorum sapientia

Non niego io già che talora quel leggiadrissimo poeta e filosofo Romano attribuisca all’animo il sentire e ’l senso. Ma a chi non è noto che sovente i vocaboli sentio e sensus appo i Latini hanno il significato medesimo che intelligo e intellectio, judico e judicium?

E qui siaci lecito di protestare che tutte le sopradette cose non adduconsi da noi per genio di volerle contradire e impugnar come false, o almeno come improbabili, ma solo intendesi di semplicemente accennarle, come bisognose di qualche sorta di spiegazione e di prova. Che se ’l sig. Giambatista di Vico, in cui abbiam sempre considerato la gentilezza uguale alla dottrina, vorrà riguardare questa nostra Replica come degna di qualche novella Risposta, allora noi unendo insieme come in un sol corpo e ’l suo primo libricciuolo di Metafisica, e ’l secondo libricciuolo della sua Risposta, e ciò che noi avrem detto nel presente Articolo, e ciò che a lui sarà paruto di rispondere a noi: allora, io dico, ci riputeremo d’avere ottenuto il nostro intento, cioè di tutte quest’Opere insieme essersi composta, non più una brevissima idea di Metafisica, ma una Metafisica intiera, e in tutte le sue parti perfetta.

Dipoi chiediamo alla benignità di quell’erudito Signore la facoltà di dir con modestia in questo proposito il nostro sentimento; cioè che volendosi ricercare qual fosse la Filosofia antichissima dell’Italia, e’ non era da rintracciarla tra l’origini e significati de’ latini vocaboli, la qual via è incertissima, e suggetta a mille contese; ma egli era da procacciarsela in rivangando e dissotterrando, per quanto si può, i monumenti più antichi della vecchia Etruria, onde i Romani ricevettero le prime leggi spettanti sì al governo civile della sua Repubblica, sì a’ sacri riti della sua religione. Ovvero almeno egli era da ricercare quali fossero i principj di quella Filosofia cui dalla Jonia traslatò Pittagora nell’Italia, e però fu detta Filosofia Italica; la quale avendo messe le sue prime radici in quelle parti dov ora il sig. di Vico fa con tanto di gloria spiccare la sua eloquenza e dottrina, in ispazio assai breve di tempo si dilatò per lo stesso Lazio ancora.

Termineremo alla fine questo nostro ragionamento facendo nostra scusa con quel cortese Signore (pag. 96), se non che in un sol dubbio, ma in tutti i nostri dubbj, non ci siamo noi riposati su quel credito, il quale intorno a ciò era, non già nostra gentilezza, ma quasi quasi nostro debito, l’avere a lui; e pregandolo insieme di considerare che oggidì s’è appresa questa massima: che è assai pericoloso nelle cose filosofiche il voler fondare il suo sapere anzi sul credito di chi che sia, che sulla forza ed evidenza delle ragioni.