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tentare il cammeo, seppe nondimeno allettarlo per modo da trattenerlo nella gliptica assai a lungo, imperocchè ben avvisava, che

               . . . «se tu seguì tua stella
» Non puoi fallire a glorioso porto»1.

In questo periodo condusse Luigi a termine più di venti intagli. Ora chiunque conosce l’arte, che si piacquero i greci chiamare glittica o diaglittica, cioè quella incisione cava e profonda, che vediamo nelle pietre dette perciò incise ad incavo, e le difficoltà ch’essa presenta a preferenza dell’anaglifica o incisione a rilievo, dovendo l’artista operare quasi a tentone e al buio, necessitato presso che ad ogni momento ritrarre in cera o in pasta la figura che sta lavorando per giudicare dell’effetto e dirigere il ferro, stimerà di per se con quale valentia ed amore il giovane Pichler si avanzasse.

Ma egli era tempo che si provasse ancor sul cammeo, e i primi saggi sotto la scorta di sì premuroso fratello il dichiararono maestro anzi che principiante. Nel che si vide alla nostra Roma continuato il magistero dell’arte, venendo in tal guisa a ripararsi la morte di Giovanni immaturamente rapito alle arti nel gennaio del 1791. Né qui ci sembra dover passare sotto silenzio come argomento e di grato animo e di fraternale affetto, che per l’indefessa cura da Luigi prestata al fratello nel

  1. Dante. Inf. XV. 55.