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braccia. La qualcosa avveniva perchè il brutto facea di subito nell’animo suo una così penosa impressione, ch’egli non poteva tenersi con modi aperti dal mostrarne un certo fastidio.
E non pure Alfonso valeva nello scrivere, ma anche nel parlare; perchè avea la pronunzia netta, e la parola gentile, pronta, lepida, efficace, che accompagnava con gesti naturalissimi ma spigliati. L’anno passato, al tempo del congresso pedagogico a Napoli, mi ricordo, e mi pare di vederlo, che, innanzi a parecchi di quei che aveano a dare giudizio, si mise a ragionare distesamente su l’utilità d’una nuova forma di banco da scuola per gli asili, ritrovata da un suo amico ingegnere, Francesco Anfora, e che premiata fu con medaglia di bronzo. E ne parlò così ordinatamente e con tale grazia, che gli s’era fatto attorno un capannello di persone di sentirlo desiderose; e io, comechè dolente che dimenticato avesse il divieto di parlar molto fattogli da’ medici, pure mi congratulai con lui. Acri mio, mi disse egli, sorridendo, è l’ultima volta.
A questo sentimento esquisito dell’arte e alla facoltà che avea di scrivere e parlar bene conferì, oltre alla naturale disposizione, lo studio di Dante, che, massime la cantica del Paradiso, tutto sapeva a mente. Egli spese molti danari per formarsi una biblioteca dantesca, e si può affermare che non ci fosse commento ch’egli non avesse letto o di cui non avesse notizia: talmente che il Fornari, ragionando con