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PREFAZIONE LIII

per l’Ellade e per l’Asia Minore, formò il terriccio dove crebbe la civiltà di cui siamo gli eredi piú diretti.

E fenomeno artistico anche piú mirabile, per la sua rarità, è che questa somma precisione e minutezza, nulla toglie alla larghezza delle linee. La mano medesima che indugia paziente intorno a sottilissimi ceselli, traccia poi la lotta d’Achille con lo Scamandro, che per la formidabile ampiezza trova appena riscontro in alcuno dei più poderosi sviluppi sinfonici di Wagner o di Beethoven. Per questo Omero è ben degno della sovranità che gli tribuisce Dante, a lui simile piú d’ogni altro poeta per questa duplice dote.

Queste grandi linee, le masse, i colori d’Omero risultano mirabili, anche attraverso ad una versione. Solo nel testo, invece, si possono scorgere e studiare taluni particolari tecnici. Il pàlpito, il guizzo vitale onde sono animate le rappresentazioni omeriche, e pel quale poterono giustamente essere paragonate a cinematografie, è raggiunto attraverso la lingua. Onde solo nel testo possiamo seguire il molteplice agilissimo gioco dei suffissi, dei prefissi, dei segnacasi, di tutte le voci che servono a muovere, a proporzionare, aerare i vocaboli. Solo nel testo possiamo scoprire il virtuosismo onde, per esempio, con un triplice suffisso, sono rappresentate la lontananza, la gradazione temporale, e la direzione del moto.

Ho detto virtuosismo. E in questo virtuosismo, in questa sovrabbondanza sfoggiata di continuo, si sente l’ebbrezza di una lingua che di fresco è giunta al pieno possesso dei suoi mezzi. Qui si vide, la prima volta nel mondo, che le parole potevano veramente rendere l’universo con la medesima evidenza dei segni. E l’artista usa ed abusa e s’inebria della sua materia e dei suoi mirabili strumenti.


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