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[129] VARIETÀ 5

Corniani, dell’Orelli, del Missirini; fa dei confronti inconcludentissimi, ma a cui egli attribuisce gran peso, col De Monarchia e con le epistole1. Alla edizione della Quaestio data dal Torri, di cui furono tirati a parte 56 esemplari 2, successe la prima del Fraticelli, con la quale ricompare la traduzione del Longhena. È una ristampa destituita di critica, con in capo copiate le osservazioni del Torri e l’asserzione sbalorditoia e impudente: «Rispetto all’autenticità di questo scritto, giudico ... tempo perduto il sostenerla contro i pochi oppositori, dappoichè la massima parte de’ biografi ed espositori di Dante sono concordi nel riconoscerlo per lavoro di lui». È il caso di dire: chi si contenta gode! Più coscienzioso il terzo ed ultimo editore moderno, Giambattista Giuliani, volle nel II vol. delle Opere latine di Dante corredare il testo del De aqua d’un larghissimo commentario e fargli seguire un nuovo e molto più esatto volgarizzamento. Il commentario senza dubbio, nella immensa quantità di riscontri che reca, rivela la rara conoscenza che delle opere tutte di Dante ebbe il Giuliani; ma per la questione dell’autenticità è, al contrario di quanto egli credette, di valore quasi nullo. Fra tutti i suoi riscontri, alcuni dei quali indeterminatissimi3,

  1. Vol. V, p. xxi. Nel § 22 del De aqua sono addotti alcuni passi della Scrittura a conferma del consiglio «desinent homines quaerere quae supra eos sunt, et quaerant usque quo possunt». Il Torri osserva che di passi biblici D. fa uso spessissimo nelle epistole. Ma degli scrittori medievali e scolastici chi non ne faceva uso? Ed il consiglio dato ai filosofanti, che nella Commedia più volte si trova e corrisponde precisamente a quello del Purg., III, 37, non è forse comune nei cultori della filosofia dommatica, che al di sopra della scienza e della ragione umana ponevano sempre la verità rivelata? I riscontri del § 18 del De Monarchia e con le lettere sono del tutto vani, perchè si tratta d’una semplice ripetizione di concetti comunissimi e di quella tecnica, a dir così, del ragionamento, che per tanti secoli fiorì e sopravvisse nelle scuole. Del resto, come fu osservato, quest’argomento dei riscontri ha nel caso nostro pochissimo valore. Data la falsificazione, è elementare l’ammettere che il falsario, prima di porsi all’opera, studiasse con qualche cura gli scritti del suo autore, cercando di ritrarne l’intonazione e qualche tratto, per poter parlare con verosimiglianza in persona di lui.
  2. Ferrazzi, Encicl. Dantesca, IV, 528-29. Il Witte, che per lunghi anni fu scettico rispetto all’autenticità della Quaestio, rimase meno dubitoso dopo la edizione del Torri. Vedi Dante Forschungen, I, 499.
  3. Basti questo esempio. Nel § 5 si legge: «Omnis opinio, quae contradicit sensui, est mala opinio». Il Giuliani reca in mezzo passi del Convivio e del Paradiso (Op. lat., II, 386). Ma quella sentenza, nel medioevo,