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lo Zeno accenna alla Quaestio come ad opera non conosciuta e che «bisognerebbe rinvenire»1. Poco appresso il Tiraboschi, con la sua critica guardinga, la menziona, dubitando che sia «un’impostura»2, e questo dubbio ripete l’Arrivabene e rincalza il Foscolo, affermando che la Quaestio «va tenuta con molti per impostura indegna d’esame»3. A tali dubbî accenna il Troya e aggiunge dal canto suo schiettamente che per l’autenticità di quell’operetta non vuole stare «punto mallevadore»4. Il Balbo non si pronuncia, perchè non ha veduto il libro e teme non «sia superstite»5. Altri propone l’ipotesi destituita di fondamento che autore della Quaestio non sia il poeta della Commedia, ma un suo pronipote, assai reputato per dottrina, che abitò in Mantova, Dante III Alighieri6.

Di contro a questi scettici o dubitosi si levano, pieni d’ingiustificata baldanza, i credenti. Nel 1842 Alessandro Torri ristampa l’opuscolo sull’esemplare Trivulziano, corredandolo d’una cattiva versione di Francesco Longhena. Egli ne reputa indiscutibile la autenticità; cita in appoggio le autorità così poco autorevoli del

  1. Lettere, Venezia, 1785, III, 411.
  2. Storia, ediz. Antonelli, V, 650.
  3. Cfr. Arrivabene, Il secolo di D., Firenze, 1830, II, 308, ov’è la nota del Foscolo. Il Giuliani, Op. lat., II, 423 non si perita a dare al Foscolo dell’avventato e poco manca dell’insensato.
  4. Veltro allegorico, Firenze, 1826, p. 175.
  5. Vita di Dante, Firenze, 1853, p. 409.
  6. Gregorio Ottoni, in certa sua appendice parecchio sconclusionata su Dante in Mantova, che si legge nella Gazzetta di Mantova, anno II, 1864, n. 70 e 72, scrive: «Fuvvi alcuno che leggendo di un Dante Alighieri, morto a Mantova nel 1510, pensò che a costui si dovesse attribuire la Quistione». Ignoriamo chi abbia avuto questa bizzarra idea; ma certo ei non vide l’opuscolo, a meno che non ritenesse Dante III un falsificatore, il quale volesse far passare l’opera propria come scritta dal suo grande antenato. Dante III fu, del resto, uomo dotto, poeta latino e volgare, sicchè Scip. Maffei ne diede notizia nella Verona illustrata. Tenne cariche in Verona e Peschiera, e poi si ritirò in Mantova, ove il Valeriano, nel De infelicitate literatorum, lo dice morto nel 1510. Lo combatte L. Passerini (Della famiglia di D., in Dante e il suo secolo, Firenze, 1865, pp. 74-75), il quale cita un documento d’onde risulta ancora vivo nel febbr. del 1514, mentre era trapassato senza dubbio nel novembre del 1515. Il Reumont (Dante’s Familie, in Jahrbuch der deutsch. Dante-Gesellshaft, II, 345) fraintendendo una nota del Passerini, che del resto compendia, lo fa vivere sino al 1517.