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294 | Capitolo decimo |
tro della terra. Tale struttura si ritrova in alcuni degli imitatori del divino poeta, ma non in quelli che si possono in qualche modo chiamare precursori suoi, negli autori delle Visioni. Qui l’inferno descritto rassomiglia a una regione terrestre, salvo che è più orribile assai d’ogni più orribile luogo che conoscano gli uomini, e non vede mai lume di cielo. Vi si trovano montagne dirupate ed ignude, valli asserragliate e ronchiose, precipizii spalancati, foreste d’alberi strani, laghi color di bitume, paludi putride e tetre. Lo traversano per lungo e per largo fiumi pigri o impetuosi, alcuni dei quali scaturiti dalle viscere dell’Averno antico, l’Acheronte, il Flegetonte, il Lete, il Cocito, lo Stige, che anche Dante descrive, o ricorda.
Non mancavano nel doloroso regno le città e le castella. Dante dipinge la città di Dite, vallata d’alte fosse, con le torri eternamente affocate, con le mura di ferro. Spesso l’inferno tutto intero è considerato come una gran città, che prende il nome di Babilonia infernale, e si oppone alla Gerusalemme celeste, come Satana si oppone a Dio. Immaginate, dice san Bonaven-