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290 Capitolo decimo

trova l’adito infernale nell’ultimo, favoloso Oriente.

L’opinione più comune tuttavia, e nel tempo stesso più naturale, era quella che poneva l’inferno nelle viscere della terra, conformemente a quanto già avevano creduto gli antichi. Così l’abisso era spalancato, insidia e minaccia perpetua, sotto ai piedi dei peccatori e dei giusti, e la corteccia terrestre diveniva un tenue solajo che trepidava e fremeva per l’impeto delle fiamme penaci e pel mugghio degli eterni tormenti. La terra, illuminata fuori dal sole, lieta di floridi campi e di selve, rorida di acque, era come un frutto bacato che, sotto vaga buccia, abbia fradicio il midollo; era com’un di quei pomi che a detta dei viaggiatori nascevano sulle rive del Mar Morto, e che coloriti e odorosi di fuori, erano, dentro, pieni di cenere. Il baco che aveva ròsa e guasta la terra era Satana, cui Dante chiama il verme reo che il mondo fora, e alla cui caduta dal cielo fa seguire, con mirabile fantasia, la formazione del baratro infernale.

L’inferno doveva avere le sue bocche e i suoi