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tenevano dietro i vessicanti cantaridati alle braccia alle gambe alla nuca sul petto, non solo come atti a richiamare altrove il sangue affluente ne’ visceri, ma anche nello scopo di avvivare e rinvigorire la tonicità delle pareti vascolari.

Quali furono le conseguenze della mia cura? Nel cholera una bilancia fatale pende davanti ad ogni medico: dall’una parte stanno le guarigioni, dall’altra le morti. Avventurato chi sa tenerle in equa lance, più avventurato chi giunge a far propendere anche di poco più la prima che la seconda. Io lo confesso dolente, non per me, chè sarebbe turpe egoismo, ma per quelle vite che invano mi sforzai di salvare, non fui degli avventurati; sebbene il numero delle morti si levasse di legger grado su quello delle guarigioni. Difatti de’ 33 malati18, i quali posso dire veramente d’aver curato io, perchè potei assumerne la cura fino dal primo irrompere della malattia, o ne toccò a me la massima parte, ne vidi perire 18, vale a dire 54 6/11 per 100. Cinque ne trovai negli estremi del male, colpiti fino da’ primi giorni, e che perirono poco dopo; com’erano periti innanzi tutti gli altri, e come morirono, uno solo eccettuato, tutti quelli del primo terzo, ed in massima parte quelli della prima metà. Nè alcuno vorrà essere così stolto o maligno, da credere, che ciò sia detto a guisa di confronto fra me, e l’onorevole collega che mi precedè nella cura de’ cholerosi, la cui pratica esperienza è superiore ad ogni elogio; ma unicamente per addimostrare quanta fosse la perversità del male in Barberino, grande sempre ne’ primi casi, grandissima ivi per la paura e lo sfiduciamento degli animi. Difatti de’ 45, i quali ammalarono di cholera, ben


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