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PROEMIO

imbrattò già mai le mani nella calcina per murare, ne Giovan Damasceno, ò Mesue, che se li dica figlio, over nipote di Re medico celebratissimo giamai compose di man propria medicine per gli infermi. Ne il Garimberto, con gl’altri, ch’io v’ho detto fu giamai non che general capitano, ma semplice soldato, che si sappia, & ha nondimeno dimostrato pur hoggi alla militia prudentemente qual debbia essere l’Imperatore, de gl’eserciti. Cosi quegl’altri lasciorno à noi gl’ottimi ordini ne’ suoi scritti del fabricare, e del medicare. Il perchè di tanto si lasciano di fama à dietro questi, che hanno dato al mondo cosi bellissimi precetti, quei muratori, spetiali, & gl’altri, quanto di più eccellentia sono gl’homini veri de i pitti, i dotti delli ignoranti, i Signori de i servi, & i prudentissimi capitani de i lor semplici soldati. Per il che di assai più fama fu Giuliocesare per i Commentarij suoi, che non fu forse per per le vittorie acquistate, & più per il sapere, che per il fare, da che questo da che quello derivò sempre. Il che dimostrò ben Marco Tullio, che non voleva, che s’imparasseno l’armi, dove tacevano le dottrine, perche dalla cognitione delle lettere, e dalle historie sì come da fonte abondantissimo procede il saper ben militare. Et credo che anco per il sapere più acquistasse, & di più fama fusse il Magno Allessandro che per l’armi, solendo dire voler più tosto avanzar gl’altri con le discipline, che con le ricchezze. Et però un’altro re famoso disse, che da i libri, & l’armi, & le ragion dell’armi havea appreso, & perciò alle lettere essere più tenuto. Posso dunque ben io senza haver fabricato questi gran palazzi, senza haver composto di man propria queste lor medicine, senza esser soldato havere scritto precetti da cavallieri, & in somma senza haver fatto questi, che lor dicano famosissimi cavalli, haver composto questa mia fabrica, sotto il cui tetto potranno per aventura agratiatamente albergare1 ancor loro, s’io non mi inganno. Horanco, ch’io potrei fare senza rispondere à quelli così teneri dell’honore, & dell’utile mio, & si gelosi della salute altrui, conoscendosi apertamente, che il lor consiglio è intempestivo, & senza sale, & non senza alcun livore, vò nondimeno, che sappino, che l’arte d’un vero cavalerizzo è eccellentissima, & utilissima, & veramente degna d’essere abbracciata, & tenuta molto cara. Della quale non si sdegnarono i Re & gli Imperatori delli esserciti essere, & farsi chiamar maestri & domatori de’ Cavalli. Come del Re Pico si legge nel settimo, nel nono, & altrove dell’Eneida. Picus equum domitor. Et di

  1. aggiatamente albergare