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170 IL BUON CUORE


SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —Lo Sport di Roma antica.
Religione. —Vangelo della domenica prima dopo la Pentecoste.

Necrologia Comm. Anselmo Ronchetti — La Grand’Italia (Poesia) — Una

aggiunta — Ad un censore del culto alla Vergine.
Beneficenza. —Per l’Asilo Infantile dei Ciechi Luigi Vitali. — Opera Pia Catena.
Notiziario. —Necrologio settimanale. — Diario.


Educazione ed Istruzione


Lo Sport di Roma antica


Nil sub sole novum. A molte invenzioni che formano l’orgoglio del nostro tempo, o almeno alle loro forme rudimentali, già accennavano i classici latini. Così per es. gli antichi avevano un servizio postale meravigliosamente organizzato. All’epoca dell’Impero, in Ostia era stabilito un ufficio postale per i trasporti ultramarini, e adesso presiedeva il Procurator ad naves vagas. I veloci velieri adibiti al servizio potevano, in circostanze favorevoli, toccare Alessandria dopo undici giorni di viaggio, lo stretto di Gibilterra dopo sette, la costa di Barcellona dopo quattro, la costa africana dopo due. E per mezzo dei semafori venivano anche scambiati dispacci telegrafici.

Né mancavano i giornali, o Acta Diurna. Questi venivano compilati e pubblicati dagli actarii o actuarii, assistiti dai reporters giudiziari, militari, finanziari e generici. Notizie d’ogni genere, pubbliche e private, trovavano posto in quegli Acta, che, trascritti a centinaia di copie dagli operarii, venivano venduti a clubs e privati, specialmente nelle provincie dove essi erano avidamente ricercati e letti.

Fu sollevata la questione se gli antichi amassero lo Sport, quale lo intendiamo al giorno d’oggi, ossia l’alpinsimo, le corse, la caccia alla grossa selvaggina, le regate, ed altri simili Passatempi. Sarebbe superfluo palare degli esercizi atletici e ginnastici, quale la corsa pedestre, il nuoto, la scherma, la lotta corpo a corpo,. perché questi ed altri esercizi corporali formavano parte essenziale dell’educazione impartita alla gioventù romana.

Perduti i giornali dell’antica Roma, che soli ci avrebbero dato qualche resoconto sulle più audaci ascensioni compiute da cittadini privati, le sole informazioni tramandateci riguardano le imprese alpinistiche di grandi. personaggi, sovrani o generali famosi.

Filippo III, Re di Macedonia, fu forse il primo dei grandi alpinisti. Tito Livio racconta la sua ascensione sul monte Haemus (l'Heminah Dagh nei Balcani orientali), effettuata nell’anno 181 a. C.

Egli aveva udito che dalla vetta di quella montagna si poteva ammirare tanto l’Adriatico quanto il Mar Nero,.e risalire con l’occhio il corso del Danubio sino alla sua sorgente. Sedotto da questa pro-

spettiva, egli volle tentare la prova, e si mise art viaggio col solito corteo di guide e portatori. Occorsero tre giorni interi per la salita, e due per la discesa. I componenti di quella comit;va, assai probabilmente poco poterono godere del panorama sperato, a causa della nebbia di cui parla anche Tito Livio. Ciononostante, discesi al piano. essi confermarono la leggenda dell’Adriatico, del Mar Nero e delle Alpi, che si potevano abbracciare di lassù con un solo sguardo, e ciò dimostra o ch’essi non avevano veduto nulla per la nebbia, o che non avevano detto la verità.

Fra i romani amatori di montagne, l’imperatore Adriano è il più conosciuto. Assai dissimile dal suo predecessore Caligola, che fuggì da Messina ai primi sintomi di un’eruzione dell’Etna, egli fece l’ascensione di quel monte nell’anno 126 dell’era volgare, e ni e fu così entusiasta, che all’altezza di 2730 metri fece edificare un rifugio, le cui rovine vengono ora chiamate «Torre del Filosofo».

Le migliori scuderie di cavalli da corsa si trovavano in Spagna, in Sicilia, in Cappadocia, in Epiro, e principalmente nella Mauritania ed in Numidia. Esse erano grandi centri di intrighi, e pare che la corruzione dei fantini venisse praticata su vasta scala. La passione dei Romani per le corse non conosceva alcun limite. Qualche giorno prima delle corse, venivano messe in circolazione le liste dei cavalli con i nomi e i colori dei singoli corridori, e dei loro guidatori o fantini. E grandi scommesse venivano fatte sui cavalli e sui fantini preferiti! L’allenamento dei puledri finiva generalmente quand’essi compivano tre anni, e i buoni cavalli da corsa a cinque anni abbandonavano il turf, e venivano messi a riposo.

La resistenza di questi cavalli era talvolta meravigliosa. Tuscus, un cavallo favorito di Diocle, il famoso condutore di bighe, vinse non meno di quattrocentoventinove corse. Più valente ancora fu però il suo padrone, che all’età di 42 anni, quando andò in riposo, aveva vinto tremila corse colle bighe e millequatrocentosessantadue con maggior numero di cavalli. E il mestiere del guidatore o del fantino fruttava assai bene. Un certo Crescente, che corse soltanto per nove anni, dal 115 al 124 dei Vera ut stra, potè in così poco tempo, mettersi da parte più di 311.000 franchi.

Grazie allo stato di pace e prosperità che il governo romano seppe per quattro secoli mantenere in tutto il inondo, era possibile di viaggiare dall’Arabia alla Scozia, dal’Caucaso all’Atlante, con perfetta sicurezza, Senza bisogno di parlare lingue straniere, e trattando solamente con funzionari romani. Vi era a quel tempo una rete di 60.000 miglia di eccellenti strade postali, di cui alcune sono ancora in uso, con stazioni e locande a brevi intervalli. Molti privilegi erano serbati a coloro che viaggiavano per ragioni di Stato; agli altri era lasciata completa libertà.

Le persone ricche e potenti viaggiavano con