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Anno XII. 7 Giugno 1913. Num. 23.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —Nel quarantesimo della morte di Alessandro Manzoni.
Religione. —Vangelo della quarta domenica dopo Pentecoste.
Gita ai Segretariati dell’Opera d’Assistenza. — Carità Minima. — Provvidenza Materna.
Beneficenza. —Per la Provvidenza Materna.
Notiziario. —Necrologio settimanale. — Diario.

Educazione ed Istruzione


Nel quarantesimo della morte di Manzoni



Mille esempi ed insegnamenti lasciati da Alessandro Manzoni aspettano ancora d’essere fatti fruttificare appieno; ma le discussioni pedagogiche sulla scuola media, avvenute in questi giorni stessi nella Camera e fuori, mi fanno ricordare l’elogio che di lui fece l’Ascoli: «con l’infinita potenza di una mano che non pare, aver nervi, riuscì ad estirpar dalle lettere italiane o dal cervello dell’Italia, l’antichissimo cancro della rettorica». Rendersi consapevoli di ciò che il Manzoni fece ed ottenne contro la rettorica, è uno dei modi migliori per commemorarlo, per sentirlo vivo, per invocarlo presente, per compire in effetto quella estirpazione, la quale fu piena bensì negli scritti suoi, ma, nonostante l’ottimismo dell’Ascoli, non lo è ancora abbastanza nelle lettere e nel cervello italiano.

Prima, del Manzoni, la rettorica vuota e tronfia governava l’arte del comporre in prosa italiana per un vizio pedagogico penetrato nella scuola durante la decadenza di secoli.

Secondo essa non dovevano essere tenute in nessun conto le idee personali che si suscitassero nella testa di un giovane mentre egli stava studiando i suoi libri e i suoi temi scolastici. Una similitudine spiega questo metodo traviato.

Se leggendo un libro anche filosofico vediamo nominato un, personaggio, una città, subito la vista o il suono di quel nome ci fa balenare nella fantasia
l’aspetto conosciuto o immaginario di quell’uomo o di quelle mura, ma noi non ci fermiamo a esaminare minutamente quell’aspetto; seguitiamo a leggere; esso sparisce; altri ne nascono e spariscono, e noi continuiamo il nostro studio, senza neppure ricordare in fine tutta quella fantasmagoria concomitante che si è per così dire presentata alla coda dell’occhio nostro mentale, mentre noi guardavamo diritto altrove.

Lo stesso discredito che lo studioso ha per queste distrazioni, la scuola decaduta insegnava tacitamente ad averlo per le idee, che lo studio di un soggetto generasse pian piano originariamente nella testa dello studente. Lo scopo vero dello studio doveva essere quello di appropriarsi le idee che intorno ad esse avevano già formulato autori gravi. Queste sole erano considerate degne di essere poi esposte al pubblico. Il contributo personale, del giovane doveva consistere soltanto nel rimaneggiare la disposizione di queste idee altrui e nel variarne l’ornamento esteriore. Che ne accadeva? Che le impressioni sorte spontanee nell’intelletto dello studioso, messe così in quarantena, finivano per non essere ’da lui coltivate più, ed egli perdeva pian piano la capacità di formarsi delle idee sue sopra i vari soggetti trattati in libri o messici innanzi dall’esperienza quotidiana della vita.

Certo, i grandi ingegni rompevano questa schiavitù, riuscivano a formulare a sè stessi e al pubblico pensieri propri, ma lo sforzo che dovevano fare per vincere queste abitudini scolastiche diminuiva in ogni modo la loro individuale fertilità.

Se noi leggiamo molti fra i prosatori italiani del periodo rettorico, restiamo stupiti a vedere, quanto essi fossero enfatici nella parola, poveri ed impacciati nelle idee; quanto spesso prendessero un tono solenne per annunziare verità elementari e pedestri.

Questa miseria in gala era aiutata dalla indole spontanea della mente italiana, la quale è pronta a comprendere inconsapevolmente uomini e pose, per quel che è necessario a saper regalare la propria condotta dinanzi ad esse; tant’è vero che gli italiani rimasero anche allora abilissima gente d’affari;

ma è tarda e scarsa nel formulare, per poterle met-