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Anno X. Sabato, 17 Giugno 1911. Num. 25.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —Fernanda Zorda. Il martirio della cieca ― Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali pei bambini ciechi ― Rodolfo Rampoldi. L’odissea di un Lord ― Pensieri ― Paolo Rinaudo. Per il lavoro a domicilio ― Pagliuzze d’oro ― Oreste Beltrame. Orfano, poesia ― Medaglia di bronzo a una benemerita suora.
Religione. —Vangelo della seconda domenica dopo Pentecoste.
Società Amici del bene. —Per il Vicario Apostolico dell’Eritrea — Francobolli usati.
Notiziario. —Necrologio settimanale — Varietà — Diario ecclesiastico.

Educazione ed istruzione


IL MARTIRIO DELLA CIECA

Ci telefonano da Asti, 11 marzo, notte:

Stamane in Revigliasco d’Asti certa Luigia Nosenzo di 67 anni abitante da sola in una cameretta al piano terreno della casa di un proprio nipote, moriva arsa dalle fiamme che le si erano appiccate alle vesti. Essendosi ella, cieca, inavvertitamente avvicinata al fuoco, le fiamme divamparono ed ella, soffocata dal fumo, non potè neppur gridare, nè uscire dalla camera. Si appoggiò alla madia bruciando così lentamente e completamente.

— Io immagino l’oscuro dramma di fuoco.

Dopo il cadere dell’effimero sole di marzo la vecchietta sentiva i brividi dell’umidore della sera e stringeva a sè lo scialletto dalla cocca sfilata, pensando ch’ella soffriva del freddo dell’ombra e non aveva goduto del calore del sole. Così, come la sua vita, le era stata prodiga la tristezza, ma avara, avara la gioia. E pure dimenticava ella, il suo tenebrore perpetuo nell’umile sogno pio composto nella stanzuccia ove viveva, dove era per lei il mondo tutto breve, tra le domestiche voci delle cose, tra i quotidiani bisogni della vita rassegnata e pia.

I nipoti venivano talvolta a lei a prendere le alte parole umili dalla bocca ormai curva a quel suo interno continuo pianto rassegnato, venivano a chiedere le
parole di pace tra il fuoco o d’una disputa, dall’efficace dialetto di lei che sapeva comporre in dolcezza, aspri accordi di consonanti che ne rammentano l’origine gallica.

Abitava tutta soletta in una cameretta al piano terreno. Forse le era caro l’indovinare il ritmo pesante od agile dei passi famigliari o il calpestio breve degli animali domestici, forse voleva sentire il buon odore della terra, il movimento solito del suo paesello, le parole vivaci gridate per la strada, per sentirsi ancor unita a quel luogo che non vedeva più.

Imbruniva dunque, ed ella che non aveva bisogno di lume, cominciava ad attizzare il fuoco per la minestra della cena. Che amorevole scoppiettio di fiamma insieme al crepitare della legna e che gioconda ondata di calore! Le rammentava quando, in un tempo ormai lontano, ella godeva del sole mattuttino. Cominciava pian piano a togliere, con la mano un po’ tremula, preparava il tagliere ormai cavo dal lungo consumo e s’avvicinava al fuoco per appendere la pentola alla catena. Solo, nel cercare la catena, si era sporta un po’ innanzi senza avvertire che avanti al ginocchio, posato per aiuto sullo scalino di pietra imbrattato di cenere, aveva stesa in largo ripiego la gonna. Lo sentì, pel sinistro odore di strinaso, ma fu tardi.

Lo strazio orrendo l’avvolse, si dilatò nel movimento incomposto, entrò per il corpo già scarno. Che urlo disperato gli si mosse nell’ugola! e non potè uscire chè il fumo, spandendosi a flotti, entrava per la smorfia straziante della bocca, le toglieva l’aria, la forza, l’ultimo barlume di speranza. Potè ancora rizzarsi, e in un demente vaneggiamento delle mani già dolenti tentar d’afferrare la maniglia dell’uscio. Ma troppo, troppo spasimo, troppo tenebrore per questo! Comprese, le si spense in uno schianto innominabile fin il bruto impulso della vita e ricadde all’indietro, vinta. Dietro, la vecchia madia ne sostenne il corpo ormai insanabile, s’investì, si dissolse anch’essa nella vampa infocata, e cominciò ad ardere lentamente, non alimentata da alcun soffio di vento nella camera chiusa con un ululo come di vento invernale! vi si univa solo l’inconscio gemere della vecchia nei suoi contorcimenti tra l’aromatico odor di vernice misto alla ributtante puzza del grasso che colava dalle ossa ormai nere.