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Anno IX. Sabato, 17 Settembre 1910. Num. 38.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —Giulio Seganti. Le Feste caratteristche di Cettigne — Sodalizio artistico — Il sentimento religioso dell’ex- ministro Morin. Ricordi personali — Attilio Momigliano. Consuetudini che non si perdono. Il rifugio prediletto — L. Maregalli. Question Box-Answers.
Religione. —Vangelo della domenica terza dopo la Decollazione.
Società Amici del bene. —Francobolli usati.
Notiziario. —Necrologio settimanale — Diario.

Educazione ed Istruzione


Le Feste caratteristiche di Cettigne


Riportiamo dal Corriere d’Italia, questa smagliante descrizione, uscita dalla penna di Giulio Seganti:

Il fragore di una magnifica cavalcata ha svegliato stamane la città festante. I cavalieri montenegrini dell’Erzegovina — la terra di dominio austriaco — son venuti sui piccoli cavalli, traversando valli e monti, affrontando ogni disagio, lasciando dietro di loro, nell’ animo del nuovo padrone, un sospetto; e tutto per salutare il «gospodar», per rivolgergli un augurio nella grande solennità, per riaffermargli le speranze che hanno in lui e per dimostrargli che il fatto storico di due anni addietro ha fatto rimanere adamantina la loro fede nel grande ideale panserbo che tutti li anima e che un giorno... chissà?

I cavalieri erzegovini, bianchi di polvere, neri di sole, madidi di sudore sotto le grevi vesti di lana grezza dicono tutto ciò, caracollando sui loro cavalli, sotto il balcone di Nicola che dall’alba li attende con ansia ed ascolta il loro messaggio. E il loro messaggio è semplice: è un canto, è un inno di guerra che intuonano a gran voce, solennemente, sguainando le sciabole mentre tutta la truppa saluta militarmente. Uno di loro, ad un tratto, si stacca dal gruppo, agita il berretto montenegrino e gli altri come per incanto, tacciono; è l’oratore incaricato dai compagni. Parla brevemente in serbo con un accento vibrato e con gesto solenne. Che cosa dice? Un vicino me lo spiega; sono parole pericolose
che a un dipresso suonano così: «Signore — dicono al re — i tuoi figli che attendono la redenzione ti salutano e ti augurano vita, insieme a Milena tua signora e nostra, fino a che il sole tramonti per l’ultimo giorno; noi viviamo in pace nella nostra terra soggetta e in pace vi torneremo a vivere; ma quando tu lo voglia, o Nicola, ad un solo tuo cenno, le nostre armi son tue. Zivio, gospodar».

Ma Nicola che pure è un ottimo oratore e che quando parla non ha peli sulla lingua, questa volta ha capito il latino, o meglio il serbo degli irredenti suoi figli e con un sorriso e con un Fala! — Grazie — se l’è cavata abilmente.


Canti di guerra.

La folla intanto rigurgita per le vie larghe e assolate di Cettigne; non si circola più, non si può più entrare in un caffè. Quell’entusiasmo che non riuscivo a trovare i primi giorni è venuto finalmente ed esplode in mille manifestazioni strane, singolari, pittoresche. Da due giorni, da tutte le montagne del Montenegro, da tutta la Czernagora vengono Carovane di centinaia di uomini che entrano in città in corteo, vestiti degli abiti più belli e carichi delle armi più ricche ed antiche; e procedono alla testa di altissimi vessilli, cantando.

Son sempre canti di guerra e canti che ricordano tutta l’epopea recente e tutta la gloriosa liberazione del turco invasore. Ma non è un canto clamoroso che scuota e che abbia quella viva intonazione marziale che forse sarebbe nel nostro carattere. Il canto di guerra per il popolo montenegrino è cosa abituale, fiorita sul labbro fin dalla nascita; son le donne, le madri che ricordano — accudendo alle umili faccende domestiche — le glorie militari dei vecchi morti e degli sposi lontani «che son sulla cima dei monti per vedere se il nemico serpeggi fra gli sterpi della valle». E come noi, trattenendoci in un caffè, parliamo di politica o di letteratura, così questi montanari, assisi in gruppi di venti o trenta intorno ad un tavolo del cafana cantano; una parte di essi dice una strofa e l’altra risponde, dopo che un

solista l’ha intonata. Ma cantano senza scomporsi, senza gridare con un tono quasi triste, lento, continuando a fumare tranquillamente l’eterna sigaretta e sorbendo lentamente la birra e il rachì.