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Anno IX. Sabato, 6 Agosto 1910. Num. 32.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Beneficenza. —In memoria di S. E. Mons. G. B. Scalabrini. — Inaugurazione del Sanatorio Popolare Umberto Iº.
Religione. —Vangelo della domenica dodicesima dopo Pentecoste.
Educazione ed Istruzione. —La Cappella espiatoria di Monza — Miryam Cornelio Massa. Una data — C. A. Mor. La Corrispondenza di Luigi Rossari — La caduta di un Angelo — Necrologio.
Società Amici del bene. —Francobolli usati.
Notiziario. —Necrologio settimanale — Bibliografia — Diario.

Beneficenza


In memoria di S. E. Mons. G. B. SCALABRINI


Dall’organo dell’ITALICA GENS


La emigrazione di un popolo civile può essere interna, politica e agricolo-commerciale o di infiltrazione.

Per emigrazione interna io non intendo di significare quel flusso e riflusso di popolazione che si muove periodicamente per i diversi bisogni della vita civile e individuale in un determinato territorio, ma intendo bensì una vera e propria colonizzazione, entro i confini della patria, di terre incolte che possono sovrabbondare in una regione e scarseggiare in un’altra.

Quello che significhi e come si attui la emigrazione e la colonizzazione politica è a tutti noto, cioè: dare alla patria più ampia estensione, allargandone i confini o aggiungendone terre lontane, ove gli emigrati possano vivere all’ombra della bandiera nazionale, sotto l’egida delle patrie leggi e dove la religione, la lingua, le tradizioni, i costumi, tutto ciò insomma che forma la coscienza religiosa, civile e patriottica di un popolo serva a tener vivo, anche ne’ più lontani nepoti, il pensiero e l’affetto verso la terra dei padri.

Le colonie politiche furono il mezzo più potente di conquista e di espansione dei romani, e sarebbe modo veramente romano di compiere le funzioni migratorie.

Le colonie agricolo-commerciali o d’infiltrazione sono

quelle che mirano a stabilire in paese altrui nuclei di
popolazione di una data nazionalità che esercitino il commercio, l’industria e l’agricoltura e vivano fra popoli stranieri, senza perdere il proprio carattere nazionale. Fu il modo di emigrazione e di colonizzazione preferito dalle nostre gloriose repubbliche marinare.

Ora, come compie l’Italia nostra questa importante funzione della sua vita civile ed economica? o meglio, quale dei predetti modi di emigrazione può essa adottare?

La colonizzazione interna pare a molti la forma idealmente bella e per noi tutti di attuazione facile.

Costoro non sanno comprendere come il Governo non siasi pur anco deciso ad adottare questo sistema che deve renderci ricchi e potenti, intensificando la nostra popolazione, dando al lavoratore il pane quotidiano abbondante.

I fautori della colonizzazione interna ragionano così: — Che l’Italia nostra possa ospitare maggior numero di abitanti è intuitivo; basta considerare la densità relativa della sua popolazione, che va da 165 per km² in Liguria a 152 in Lombardia, per discendere via via ai 92 di Toscana, ai 77 delle Puglie e dell’Abruzzo, ai 60 dell’Umbria, ai 51 della Basilicata, ai 28 della fertilissima e già popolosa Sardegna; basta fare una corsa per le terre d’Italia e osservare i greppi della Valtellina e della Liguria, i colli piemontesi e toscani, la valle del Po trasformati in giardini, e il deserto dell’agro romano e i piani fecondi delle provincie meridionali e della Sardegna che giacciono incolti o convertiti in centri di infezioni malariche.

Utilizziamo la errante miseria della patria, impieghiamo a nostro beneficio quell’attività sempre ricercata, ma non sempre apprezzata, che si sparge per il mondo, fiotto di viventi, simili alle acque di un fiume senz’alveo che, invece di fecondare le terre circostanti, si perdono nel greto e fra gli sterpi lontani.

E sia dunque; si colonizzi pure all’interno, si tolga alla malaria tanta parte di territorio italiano, si renda più intensa e quindi più rimunerativa la agricoltura; tutto quanto si farà in questo senso sarà ottima cosa, ma non facciamoci illusioni; colonizziamo pure nei limiti del possibile, ma, a scanso di disinganni, persuadiamoci che la cosa non è facile, come pare a prima vista, e che certamente non è possibile nella misura