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il mistero del poeta | 33 |
gnore mi promise di parlare al cuoco per ottenere un po’ meno plumpudding, un po’ più di rispetto alla minoranza nazionale; e mi lasciò in pace, nè più ci siamo parlato.
Uscii a prendere il caffè sotto i tisici ippocastani del belvedere, dove anche la mia bella vicina stava ammirando l’infocato tramonto e, all’orizzonte, il lungo arco, la magnifica pompa lontana della nevi eterne. Ma io non guardavo il cielo, nè le Alpi, nè lei; guardavo là in faccia, oltre il lago scuro affondato ai nostri piedi in un abisso di settecento metri, oltre la prima fronte erbosa della montagna opposta, uno scoglio colossale con la sua famiglia di torrioni diroccati attorno, noto e caro agli occhi miei da molti anni. Sono stato un fanciullo timido e orgoglioso. A sedici anni, con la testa piena di Leopardi e di Victor Hugo, di panteismo e di pessimismo, con un gran disprezzo esteriore dell’umanità e un’intima disperata voglia d’esser lodato dagli uomini e amato dalle donne, m’era venuta la melodrammatica idea di farmi seppellire lassù. Non vedevo lo scoglio da un pezzo, esso ignorava affatto i miei stupidi amori con la