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Il Canzoniere | 95 |
XL.
Esprime — e anche questo noi diremmo rivolto a Virbìa — l’acre voluttà del suo dolore d’amore. Uno sguardo della Mencia lo uccide e, al tempo stesso, lo ravviva.
È centone di sonetti suoi e del suo Petrarca. Molte idee e frasi ricorrono, ad. es. — per citare un caso solo — qua e là nel sonetto XXVIII, in ispecie vv. 9-11.
L’alte maniere e umili, e la divina
Alma, che ’l crudo viso bello e pio
Governa, e que’ begli occhi d’onde uscìo
4L’eterno fuoco, e la gelata brina,
Sì dolce di me fanno ognor rapina,
Che ’n me son morto, e ’n lor vivo son io,
E a lor dinanzi star sempre desio,
8Sì n’ho la mente fissa, intenta e china.
Veggio la forma angelica, e serena.
L’andar celeste, e quell’aspetto vago,
11Che del mondo la mostran vera Diva:
E sì gioisco, e del mio duol m’appago,
Ch’i’ rido, s’ella a morte ognor mi mena,
14Perch’un guardo de’ suoi m’ancide e avviva.
V. 5. Rapina, mi rubano a me stesso, mi tormentano, ma in dolce modo.
V. 8. China, curva.
V. 9. Il Petrarca dice esattamente: «Non era l’andar suo cosa mortale | Ma d’angelica forma...», Canz., XC, 9-10.