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Il Canzoniere | 63 |
Vv. 9-14. Questa potenza d’amore, che risfolgora negli occhi della donna, che abbaglia di sua luce l’amante, e offusca ogni altro splendore del mondo; e l’invidia del cielo per un cotanto tesoro; e altri consimili effetti appartengono al copioso formulario della lirica amorosa petrarchesca: il nostro poeta ce ne offrirà, via via, saggi a dovizia. Anche Dante, del resto, fa che il cielo invidii alla terra, Beatrice. Il concetto è già nel Petrarca: «C’han fatto mille volte invidia al sole», Canz., CLVI, v. 6.
VIII.
Riprende, e svolge i motivi fondamentali di quello che precede. In cospetto della Mencia, il poeta diviene muto o, almeno, fioco: privo, quasi, d’intelletto.
I’ volli Donna già contarvi a pieno,
Come per voi m’ancide, e avviva Amore,
Com’ei mi ruba, e poi mi rende il core,
Ed altre cose assai, ch’io porto in seno. 4
Ma come i’ veggio il bel viso sereno,
E gli occhi sfavillar con quel splendore
Che quel del sol offusca, e fa minore,
Sento alla lingua porsi un duro freno. 8
E sì freddo timor m’agghiaccia il petto,
Ch’io resto innanzi a Voi tremante e fioco,
Di ragion privo, d’alma, e d’intelletto.11
Perch’io taccia, Madonna, non è poco
L’occulto incendio, ch’ho nel cor ristretto:
Chi può dir com’egli arde è in picciol fuoco.14
V. 1. Già, nei sonetti precedenti.
V. 2. Ancide, tormenta, uccide, avviva, ravviva, risuscita.
V. 3. Ruba e rende, giochetto di antitesi continuate.
V. 8. Lingua in freno rigido e duro. Più sotto (v. 10): «tremante e fioco». Reminiscenza evidente del dantesco in Vita