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Il Canzoniere 325


V. 14. Di duol morìo, infatti «ella nel suo fiero proponimento perseverando, si doleva che non potesse con la vita sua ricuperar quella del suo Romeo, e in tutto si dispose voler morire. Ristretti adunque in sè gli spirti, con il suo Romeo in grembo, senza dir nulla se ne morì» (p. 407).


XXVII.

È il sonetto-epitaffio inserito nella novella dove il Bandello narra come «il Signor Giovanni Ventimiglia ama Lionora Macedonia e non è amato. Egli si mette ad amar un’altra. Essa Lionora poi ama lui e non essendo da lui amata, si muore» (I-22).


Tu che qui passi e ’l bel sepolcro miri,
     Ferma li piedi e leggi il mio tenore,
     Chè di bellezza è qui sepolto il fiore,
     4Cagion a molti d’aspri e fier martiri.
Infiniti per lei gettò i sospiri
     Gran tempo un cavaliero, ed ella fòre
     Di speme sempre il tenne e sol dolore
     8Gli diè per premio a’ tanti suoi desiri.
Egli, sprezzato, altrove il suo pensiero
     Rivolse, e quella a lui piegossi alora
     11Ch’era a lui stata sì ritrosa e dura.
Ma piegar non potendo il cavaliero
     Morir elesse e uscì di vita fuora,
     14Sì fiera fu la doglia oltra misura.

V. 1. Tu che passi, cfr. son. XVI, v. 1, di queste Rime estrav.

V. 3. Il fiore, nella novella è detto: «Questa sua beltà che tu tanto apprezzi è come un fiore» (p. 83) e non solo come paragone, ma come descrizione diretta: «La Signora Lionora nel vero era una de le belle e vaghe gentildonne di Napoli» (p. 75). Aveva ella infatti «aurea testa, serena fronte di pura neve, nere ed arcate ciglia cui sotto due folgoranti e mattutini soli fanno invidia a Febo... condecevol e profilato naso, guancie che due