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Il Canzoniere 287

     Che gioia date eterna ed infinita,
     Che d’ogni ben n’appaga,
     Tant’è il favor di vostra dolce aita.
     Onde la fama ognor gridando vaga
     120La divina LUCREZIA di Gonzaga.
Se forza al mio desir. Donna, darete,
     I’ canterò di Voi cose sì belle
     123Che fermerò col sol tutte le stelle.


V. 1. Mostro, mostrato, mi ha svelato che trionfa negli occhi di Lucrezia.

V. 11. Per tutta questa Canzone, e per le analogie con gli elogi fatti alla Mencia, è da tener presente particolarmente la Canz. LIX dedicata a quest’ultima; a questo verso ad es. fa riscontro il v. 30, di quella: «Che quanto bella sete non so dire».

V. 20. Sacra chiaritate, il candor dei sentimenti onesti e puri.

V. 38. Fura, ruba, attrae.

Vv. 42-43. Vosco a lato sempre mi trovo; già dicemmo che Lucrezia fu sua discepola dal 1537 al 1541.

V. 59. E seco al ciel sen vola, nei Canti XI al C. III si legge questa strofe: «Or tu che ’n poco, tosto ti vedrai | Arso da le bellezze di costei | L’alte sue lode e gratie canterai | Ch’altra cantar al mondo più non dei, | Seco volando chiaro n’anderai | Ben che poeta basso e incolto sei; | Ma chi canta di questa, chi ne scrive, | Eternamente glorioso vive».

V. 77. Rivo, va corretto l’evidente errore di stampa, vivo, dell’edizione Costa. E ritorna qui il petrarchesco: «Chiare fresche e dolci acque», Canz., CXXVI, v. 1.

V. 84. Amor, è soggetto, e fa sì che guardandovi in viso il mio pensiero si ingentilisca, si affini.

V. 87. In verso e in prosa. Per la Mencia, per quanto ci risulta mai non scrisse in prosa. Non così per Lucrezia della quale è frequente il ricordo nelle Novelle.

V. 110. Verso già ripetuto due volte; cfr. nota al v. 14, son. L.

V. 114. Pace porgete. Concetto importante. L’onesto affetto di Lucrezia placa e rasserena l’animo del poeta. Non così opera su di lui l’ardore inquieto della passione per la Mencia «nemica».

Vv. 122-123. I’ canterò. Annunzia quelli che poi furono i Canti XI in lode di Lucrezia Gonzaga, in particolar modo il C. III che comincia, e che promette di dir di lei: «Cose mirande e non udite ancora». — Fermerò, per errore il Costa stampò formerò.