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26 | Introduzione |
rima del Bandello, ma riluttante, anzi fieramente disdegnosa. La posizione spirituale della Mencia dinnanzi al suo devoto è la stessa della Laura davanti al Petrarca. Anch’essa è la bellissima «nemica», la vaghissima «guerriera», che non corrisponde, anzi contrasta alle più accese proteste d’amore. Di qui la mancanza, quasi assoluta, di quella franca impudicizia, che trionfa, con pagano realismo nelle novelle di questo cinquecentista che pur veste la cocolla e, in una cert’epoca, porterà anche mitra e pastorale.
In vero, la novella, scurrile e salace, doveva esser tale in obbedienza alla moda letteraria del tempo: questa, invece, prescriveva alla lirica i candidi veli del più puro platonismo. Nella prosa delle novelle si rispecchiava la prosa della vita; mentre nella evocazione poetica la vita doveva detergersi ed elevarsi tra vaghe imagini evanescenti. E quando il Bandello mescola in una promiscuità che sa di eresia, a motivi profani motivi sacri — manifestando in questi il suo sincero ascetismo largamente attestatoci da ogni altro suo scritto e dalla sua stessa vita — non fa che seguire, anche in questo, l’andazzo dei tempi: nei quali era per l’appunto lecito, sulle orme del Petrarca e del suo corifeo, il Bembo, alternare alle lodi delle bellezze corporee della donna, paragonata ad una dea, quelle per la sua nobiltà spirituale, che la fanno cittadina del cielo, osannante in gara con gli angeli alla Vergine e a Dio nel fulgor dell’Empireo (son. CXVII).
Nulla, pertanto, offende nel Canzoniere la coscienza religiosa dell’autore; nulla v’ha che contrasti con quel singolare attestato di moralità che per difenderlo dai suoi denigratori, a proposito di certe novelle non a torto giudicate licenziose, gli rilasciò una insigne dama