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234 Matteo Bandello


CLXIX.

Son corsi dodici anni dal giorno del suo innamoramento e l’ardore di esso, anche nelle sue peregrinazioni varie, sempre s’accrebbe.


Girato ha Febo dal Montone al Tauro
     Dodeci volte poi ch’Amor mi prese,
     E ’l cor con duo begli occhi sì m’accese,
     4Che senza quei non trova alcun restauro.
Nè ciel, nè stella, e meno forza d’auro
     Il puon piegar da quel ov’ei s’apprese,
     Quando le luci d’onestate accese
     8Il fer di selce qual Medusa il Mauro.
Da indi in qua per mari, monti e fiumi,
     Per piagge e valli sono andato errando,
     11Come mi guida Amor, Fortuna e ’l Tempo.
Ma che mi giova andar ognor penando,
     Ed ogni dì cangiar luoghi e costumi,
     14Se cresce il fuoco, quanto più m’attempo?


V. 1. Febo, il Sole, ha compiuto dodici giri, pari a dodici anni, dalla costellazione del Montone o Ariete a quella successiva del Toro, costellazioni entrambe di primavera.

V. 4. Restauro, ristoro.

V. 8. Il fer di selce, lo fecero di sasso, come avvenne, quando Medusa fece impietrare Atlante re di Mauritania trasformandolo in monte. — Mauro, Mauri o Mori.

V. 9. Enumerazione quale già si vide, cfr. CXXVIII, v. 19.

V. 11. Bel verso: signoreggiano il Bandello l’amore, la sorte e il tempo. Uno consimile già ne diede nel Madrigale XXVI, v. 10. Ma la fonte è la consueta petrarchesca: «Non basta ben ch’Amor, Fortuna e Morte», Canzoniere, CCLXXIV, v. 2.

V. 14. M’attempo, divento attempato.