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Il Canzoniere 201

     4Ch’ancor la piuma in tutto non adombra,
Che tutta notte sovr’un ramo sgombra
     Con meste voci l’aspro suo dolore,
     E di querele il dì con tristo core
     8Empie li boschi e l’alte selve ingombra;
Così facc’io che quando leva il sole
     E quando casca, e alluma il ciel la luna
     11Sfogo col pianto ’l crudo mio martire.
E tanto in me dolor ognor s’aduna,
     Che l’alma uscir di questo carcer vuole:
     14Che ben può nulla chi non può morire.


V. 1. Filomena per usignuolo; cfr. son. CXXXIII, v. 4, nota.

V. 2. Pioppo, pioppo.

V. 14. Verso del Petrarca, Canzoniere, son. CLII, v. 14; nè è il solo, sappiamo, che il Bandello riporti con intenzione forse di citazione. Tutto questo componimento che comincia: «Questa umil fera, un cor di tigre o d’orsa» mostra Laura bella, ma ritrosa all’amor del poeta: nella stessa condizione psicologica, si trova la Mencia per il Bandello il quale, anche da questo punto di vista generale, segue assai più da vicino di quel che non paia il magno Canzoniere petrarchesco.


CXL.

Si lagna perchè Amore non mitiga il suo tormento mortale.
        Sonetto tutto di settenari. Di questi sonetti dove l’endecasillabo è sostituito dal settenario «se ne composero — scrive Tommaso Casini, Le forme metriche ital., Firenze, 1911, p. 43 — nel sec. XIV ed anche nei tempi moderni, ma è una di quelle forme che i trattatisti del Cinquecento riprovarono come capaci di poca vaghezza e leggiadria». Questo esempio — unico — portoci dal Bandello non è privo di grazia.


Quando sarà ch’Amore
     Tempri quel fier martìre,
     Che vede ognor soffrire