Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
200 | Matteo Bandello |
CXXXVIII.
Dichiara la propria infelice pena d’amore per la Mencia disdegnosa: pena più grande di qualsiasi altra.
Misero chi ama, e ciò ch’egli desia,
E d’aver cerca, veder non può mai;
Chi vede ed ama è più misero assai,
4S’ei non possede il ben, ch’aver vorria.
Ma senza par miserrimo pur fia,
Chi può mirar della sua Donna i rai,
E innanzi a quella far suoi duri lai,
8Se come vuol non l’ha cortese e pia.
Or chi la Donna amata vede ognora,
Nè mai da lei si sente aver a schivo,
11Beato senza par si può ben dire.
Nel terzo grado pien di doglia i’ vivo,
E morir cerco, che men pena fora
14Tosto morir, che ’n tal modo languire.
V. 1. Tono sentenzioso e proverbiale. Così poi costruirà i suoi aforismi il Metastasio: «Miser chi mal oprando si confida, ecc.».
V. 12. Nel terzo grado, dei tre gradi di infelicità determinati più sopra, vv. 1-2, vv. 34, vv. 5-8. Il Bandello si trova in questo terzo.
CXXXIX.
Paragona il suo dolore a quello del rosignuolo, che tutta la notte piange perchè gli furono rapiti i suoi nati implumi.
Come si lagna Filomena all’ombra
D’un’alta Pioppa, se ’l duro aratore
Le trae del nido i cari figli fore,