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Il Canzoniere | 175 |
CXIV.
È notte alta: tutti dormono, e riposano; solo il poeta è insonne e in lacrime.
Affiorano reminiscenze classiche — il virgiliano (Æn., II, 255) per amica silentia lunae — e oltre al consueto vieto petrarchismo un non so qual vago presentimento della poesia notturna preromantica.
Corre la notte cinta il viso adorno
D’aurate stelle, ed a ciascun quiete
Apporta dolcemente, tal che quete
4Riposan le genti egre a me d’intorno.
Sol io mi doglio e sento d’ognintorno
Silentia, ch’ella sol le mie segrete,
Acerbe pene ascolta, e mansuete
8Mi porge orecchie, finchè viene il giorno.
Quanto ti debbo, cara notte e amica,
Che sì pietosa i miei martìri ascolti
11Con l’interrotte voci in duro pianto?
Sonniferi papauri all’ombra colti
Ti spargo in premio della tua fatica,
14E le tue lodi riverente i’ canto.
V. 4. Egre, latin., stanche, affaticate.
V. 6. Silentia, allegorica divinità del Silenzio.
V. 12. Papauri, papaveri che danno, coll’oppio, il sonno.
CXV.
La Mencia ritoma. Tutto si rallegra: la natura, il prediletto fiume, il cor del poeta.
Come da noi partendo lascia il sole
Quest’Emispero freddo e nubiloso,