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144 | Matteo Bandello |
Che ’n questa lontananza che da lei
Mi trovo, ahi lasso! s’una volta sola
11Di me l’è sovvenuto, oh me beato!
So ben che l’alma ognor a lei sen vola,
E tutti le dispiega i martir miei,
14E qual men viva in sì doglioso stato.
V. 1. Cumea, Sibilla Cumana.
V. 4. Fesse, facesse. — Enea, cfr. Virg., Æneid., l. VI, passim.
V. 7. Sol, soltanto, altro non vorrei sapere che, ecc.
V. 9. Scerne, discerne, vede nella lontananza con la sua vista di veggente.
V. 13. Dispiega, svela le mie sofferenze.
XCI.
Sonetto rivolto all’amico Pasolino — di cui ricorre il nome nel Novelliere — anch’egli lontano dai luoghi a lui cari. Accenna ad un incidente occorsogli, pare ad una caduta da cavallo. E che solesse cavalcare si rileva anche dal son. XXXVI, v. 11.
Qual a te non veder del Savio l’acque,
O in ripa a quel non star a capo chino,
Doglia s’accresce, caro Pasolino,
4Da ch’ei cotanto alla tua vista piacque:
Tal, anzi assai maggior, in cor mi nacque,
Quando rimasi a mezzo del cammino,
Poichè divisi all’ombra del gran Pino
8Il caval, non so come, in terra giacque.
Che tra gl’irsuti e noderosi pini,
Che ’n foce al Savio crescer fa natura,
11Rimasi com’il mondo senza sole.
Così per la foresta orrenda e scura,