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12 | Introduzione |
faretrato fanciullo, che ferisce coi dardi d’Amore. Mitologia, erudizione classica, vieti elementi esornativi di qualsivoglia maniera vi abbondano; vi s’aggiungono e vi si mescolano imagini mistiche; al platonismo antico, l’ascetismo cristiano, alle rime amorose, le spirituali.
Questa produzione poetica non può certo stare a paro nè per quantità, nè per qualità con quella sua, a lui più consona, in prosa novellistica. È tuttavia d’una mole considerevole, e, neanche in sè, come verremo dicendo, del tutto trascurabile. Essa si accompagna e s’intreccia alla sua indefessa opera del novellare; si estende e si distende per quasi l’intera sua vita. La più antica novella bandelliana rimastaci può essere datata con molta fondatezza dal 1505. Ebbene, proprio questa novella (I-18) è dedicata a quella Viola, che fu il suo primo affetto e alla quale rivolse le primizie dei suoi versi d’amore. D’allora in poi — da quella dolce sua primavera lontana — in circostanze molteplici, compositore di versi d’inspirazione diretta o d’occasione, egli mai non cessa di comporre rime. E grave d’anni, noi lo sorprendiamo nel suo rifugio francese, in riva alla Garonna, inteso ancora non solo a ritoccare novelle, ma a limar versi, dove è l’eco sospirosa de’ suoi amori giovenili.
La sua operosità poetica accertata risale, adunque, almeno, al 1505; e discende fino al 1544, anno in cui redige il suo autografo: date queste che, specie la seconda, furono da lui con ogni probabilità oltrepassate.
Lasciando in disparte qualche distico latino che il Bandello umanista, amico dello Scaligero (II-36) e del Fracastoro (II-9), cultori delle Muse classiche, ha pur