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Il Canzoniere | 109 |
Ch’è gloria, e pompa dell’etate nostra,
14E spiro, e parlo, e non son morto ancora?
V. 1. Amore polisce, forbisce, rende polito e terso l’oro biondo dei di lei capelli. Con questo procedimento metaforico ritrae la spaziosa fronte perlacea della Mencia, ciel di perla teso sovra gli archi delle sopracciglia; i di lei occhi che son due zaffiri; il volto dal bel colorito d’avorio e dall’incarnato porporino, di fine ostro; la fila dei denti, fila di perle orientali; le labbra coralline; il petto marmoreo, di palpitante alabastro; le mammelle, pomi ma colti in paradiso, particolare verista temperato dal v. 11.
V. 4. Converso, convertito, incenerito.
V. 11. U’, dove sempre ha dimora la castità.
V. 12. Son qui diviso, lontano. Ignoriamo dove sia.
V. 13. Cfr. son. XLVIII, v. 3, e son. L, v. 2.
V. 14. Spiro, respiro, parlo; è vivo e ne ha stupore.
LVI.
Non giova al Bandello mutar paese: dovunque, e ognora, lo segue e lo assilla il ricordo della Mencia.
I’ non credea giammai da Voi lontano,
Dolce mia pena, quell’ardor soffrire,
Ch’i bei vostr’occhi mi facean sentire,
4Quand’era innanzi al lume altiero e piano.
Ma trovo il creder mio fallace e vano;
Così fin qui mi suol ognor seguire,
Ch’un passo mai lasciato non m’ha gire,
8Ch’egli non m’arda e strugga a mano, a mano.
Che dunque giova andar di luoco in luoco,
E ritrovarmi ognor da Voi più lunge.
11S’arder mai sempre debbo in tanto fuoco?
Ah! pera quell’asprezza, che mi sgiunge