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NOTE XI 245


paragonarli all’Eschine e al Tiònico dell’idillio quattordicesimo, che ci presentano, in vesti mutate, la medesima coppia.

A non tutti sarà familiare il nome di Litierse, che Milone ricorda come autore del canto ch’egli si appresta a cantare.

Litierse era un figlio bastardo del re Mida, e, attendeva all’opere dei campi. Quanti forestieri passavano, li invitava a mieter con lui; e poi, giunta la sera, li decapitava e nascondeva i corpi entro i mannelli, accompagnandosi con una canzone. Ci capitò anche Ercole, e naturalmente, ammazzò lui. Ma d’allora in poi, i mietitori di Frigia, memori di quel gran patrono, cantarono sempre un inno in suo onore. Quello, probabilmente, con cui lo stesso Litierse accompagnava le sue geniali manifestazioni d’ospitalità: quello che intona qui Milone per richiamare lo smidollato Batto ai suoi concreti doveri di buon bifolco.


XI

IL CICLOPE

Questo idillio è diretto a Nicia, medico di grido, parrebbe, e certo grande amico di Teocrito. A lui è rivolto anche l’idillio decimoterzo, e sostanzialmente, anche il ventottesimo. Pare dunque che Nicia prendesse una cotta amorosa; e Teocrito gli dice che è inutile che cerchi rimedii nella sua farmacopèa: amore è una malattia che non si vince con le medicine; e l’unico rimedio è. se mai, il canto. Esempio classico, il Ciclope Polifemo, che trovò appunto qualche sollievo nelle canzoni.

La canzone del Ciclope è tra le cose piú riuscite di Teocrito; e le sue bellezze sono di tale ordine che non richiedono il peso di verun commento.

Il bassorilievo alessandrino di cui ho già fatto menzione è la perfetta versione plastica di questo idillio.