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conosciuto per caso, quando andavo a dar lezione in casa Marliani: mi raccontarono in seguito che egli si era un giorno rimpiattato dietro una tenda per sentirmi, mentre spiegavo un canto di Dante alla mia cara allieva Maria e alle signorine Sella — nipoti, mi pare — di Quintino. Fatto sta che dopo avermi conosciuta, strinse con me una cordiale e franca amicizia. Egli, spirito colto ed arguto, cominciò ad avermi particolarmente in stima quando gli parlarono di me come una piccola ribelle, almeno per quanto si riferiva ai provvedimenti scolastici. Il sindaco di Firenze non poteva distruggere da un momento all’altro, l’uomo di ingegno e se il Capo riconosciuto del Comune esercitava o doveva esercitare una severa vigilanza sui suoi sottoposti, Ubaldino Peruzzi ne lasciava però compiacentemente sbollire i giovanili entusiasmi. Mi fu amico affettuoso finchè fui maestra, e a mille doppi più devoto quando libera di me stessa potei accettare il suo aiuto senza incorrere nella taccia di avere abilmente sfruttata la sua cortesia.

Quando dopo essere uscita dalle scuole elementari del Comune per mia volontà, e per la rovina finanziaria del Pancrazi, dai periodici ch’egli amministrava e dirigeva, sola, povera, e bisognosa di lavoro mi rivolsi — come ho già detto — ai pochi amici che mi avevano già dato prove non dubbie d’affezione sincera: e prima che agli altri al Peruzzi. Per i Fratelli Paggi fra un ritaglio e l’altro di tempo avevo scritto un altro volumetto, di indole puramente scolastica, che venuto dopo il Pulcino ebbe anch’esso buon esito. Con la scorta di questi due libri, e le parole forse troppo benevole di Ubaldino Peruzzi fui presentata e raccomandata calda-